Niente mantenimento al figlio maggiorenne che ha lavorato part-time per 2 anni. Per la Cassazione, l'ingresso effettivo nel mondo del lavoro, anche se con salario modesto, fa cessare l'obbligo

di Lucia Izzo - L'effettivo ingresso del figlio maggiorenne nel mondo del lavoro, anche se questi percepisce una retribuzione modesta, ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti, è idoneo a far cessare l'obbligo di mantenimento del genitore che non potrà "rivivere" qualora il ragazzo perda il posto di lavoro.


Lo rammenta la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 19696/2019 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso di un padre che si era opposto al mantenimento che, secondo i giudici di merito, avrebbe dovuto versare ai due figli maggiorenni.


Il caso

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In una sentenza pubblicata alcuni giorni fa, i giudici del Palazzaccio si erano pronunciati in relazione al mantenimento spettante alla figlia trentenne, ritenendo che il padre dovesse versarglielo in quanto gli introiti dell'attività di avvocato che la stessa aveva da poco intrapreso apparivano insufficienti a farle raggiungere l'indipendenza economica. I magistrati rammentavano che il genitore, quando i guadagni si fossero consolidati, avrebbe comunque potuto chiederne la revoca.


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Nel caso in esame, invece, il genitore riesce a scamparla in quanto, secondo la Suprema Corte, il giudice del gravame non ha adeguatamente valutato il tenore di vita dei due "over 30" e il raggiungimento della loro autosufficienza economica.

Mantenimento figli maggiorenni e capacità lavorativa

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L'obbligo del mantenimento dei genitori, rammenta la Cassazione, consiste nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente.


La prova del raggiungimento di un sufficiente grado di capacità lavorativa, si legge nel provvedimento, è ricavabile anche in via presuntiva dalla formazione acquisita e dalla esistenza di un mercato del lavoro in cui essa sia spendibile.


La prova contraria, invece, non può che gravare sul figlio maggiorenne che, pur avendo completato il proprio percorso formativo, non riesca a ottenere, per fattori estranei alla sua responsabilità, una sufficiente remunerazione della propria capacità lavorativa.


Tuttavia, spiega il Collegio, anche in questa ipotesi andranno valutati una serie di fattori, quali la distanza temporale dal completamento della formazione, l'età raggiunta, ovvero gli altri fattori e le circostanze che comunque incidono sul tenore di vita del figlio maggiorenne e che di fatto lo rendono non più dipendente dal contributo proveniente dai genitori.

Addio mantenimento dopo l'ingresso effettivo del figlio nel mondo del lavoro

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Nel caso in esame, uno dei due figli aveva completato il proprio percorso formativo, di cui aveva sfruttato i frutti per intraprendere l'attività professionale di tecnico musicale e assistente alla illuminazione di concerti e spettacoli musicali, connotata dall'impiego di mezzi, propri e in comodato, di non modesto valore e che secondo una valutazione presuntiva ben potrebbe costituire una fonte di reddito idonea a garantire l'autosufficienza economica a chi la presta.


L'altro figlio, invece, aveva stabilmente lavorato per due anni part-time percependo uno stipendio di circa 500 euro mensili e, secondo la Cassazione, il giudice d'appello non ha adeguatamente valutato la circostanza che questi avesse acquisito una capacità lavorativa tale da assicurargli una retribuzione stabile nell'arco di due anni.


In particolare, rammenta la Cassazione, l'ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione sia pure modesta, ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti, segna la fine dell'obbligo di contribuzione da parte del genitore. E la successiva ed eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento (cfr. Cass. n. 6509/2017).


Nel caso in esame, la Corte territoriale neppure ha adeguatamente valutato una serie di ulteriori e rilevanti circostanze quali l'effettività o meno della convivenza dei figli con la madre, l'età ormai ampiamente superiore ai trent'anni di entrambi i figli, il tenore di vita di cui dispongono. Su tali circostanze si sarebbe, invece, dovuto attivare l'onere probatorio gravante sulla richiedente il contributo al mantenimento. Accolto il ricorso, la parola passa dunque al giudice del rinvio.

Scarica pdf Cass., VI civ., ord. n. 19696/2019

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