Dimostrazione del danno in sede civile e sua risarcibilità ex art. 2059 c.c. Le tabelle dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano. Guida al risarcimento del danno da diffamazione
Avv. Marco Sicolo - La diffamazione è un reato che ha ad oggetto la lesione dell'altrui reputazione e può verificarsi quando si parla in modo ingiurioso di una persona in sua assenza o, ad esempio, quando si diffondano a mezzo stampa delle notizie offensive nei confronti di un determinato soggetto.

Per quanto sia prevista dal codice penale come fattispecie procedibile a querela, non sempre la diffamazione viene perseguita penalmente, poiché la relativa prova esige la dimostrazione del dolo dell'agente. Il più delle volte, invece, appare più agevole la dimostrazione del danno in sede civile.

Il danno civile di natura non patrimoniale

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Sul piano civile, infatti, si riscontra un numero più consistente di controversie giudiziarie, poiché davanti a tale giurisdizione può risultare sufficiente dimostrare soltanto la colpa del soggetto agente, e non necessariamente anche la sua volontà di ledere la reputazione e l'immagine del diffamato.

In ambito civile, l'attività diffamatoria comporta l'insorgere di un danno di natura non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c.

Al fine di vedersi riconosciuto il relativo risarcimento, pertanto, la parte richiedente dovrà allegare gli elementi di fatto che consentono di desumere la sussistenza e l'entità del pregiudizio.

La liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa

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L'ampia varietà di casi in cui può configurarsi la diffamazione ha generato un'abbondante giurisprudenza in materia, che di recente è stata al centro dell'attenzione dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (si tratta di quello stesso organismo che, periodicamente, mette a punto le ben note tabelle per il risarcimento del danno biologico).

Contestualmente alla pubblicazione delle tabelle 2018, infatti, l'Osservatorio ha pubblicato anche un lavoro organico che, per la prima volta, ha preso in considerazione i criteri per il risarcimento del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa.

Il lavoro dell'Osservatorio milanese ha inteso razionalizzare la copiosa giurisprudenza sul danno da diffamazione e ha mirato a individuare, con un certo grado di oggettività, gli aspetti da valutare e i parametri in base ai quali misurare l'importo di tale danno.

Il risultato di questa attività è uno schema suddiviso in cinque scaglioni, che ha il pregio di graduare la diffamazione a seconda del contesto in cui avviene e in relazione a vari fattori.

I livelli di gravità individuati dall'Osservatorio milanese

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In base a tale schema, la diffamazione a mezzo stampa può dare origine a un danno risarcibile per un valore che può variare da 1.000 a oltre 50.000 euro, a seconda della gravità della situazione.

In particolare, la diffamazione può essere di intensità tenue (e dare origine a un danno fino a 10.000 euro), modesta (risarcimento fino a 20.000 euro), media (fino a 30.000 euro), elevata (fino a 50.000 euro) o eccezionale (con risarcimenti superiori ai 50.000 euro).

I criteri per la liquidazione

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Per favorire l'inquadramento di ogni fattispecie concreta in una delle suddette fasce di gravità, l'Osservatorio ha indicato alcuni criteri che consentono di caratterizzare con sufficiente oggettività il singolo episodio di diffamazione a mezzo stampa.

Tali criteri sono riscontrabili nella notorietà (o meno) del soggetto diffamante e del soggetto diffamato, nella tenuità o gravità dell'offesa, nella diffusione del periodico stampato e nella conseguente risonanza mediatica dell'evento, nella ripetitività dell'evento e nell'eventuale condotta riparatoria posta in essere dal diffamante (ad esempio con una rettifica della notizia).

La riparazione pecuniaria

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Va notato, sempre con riferimento all'ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, che una norma della Legge sulla Stampa del 1948 prevede che il danneggiato ha diritto, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale, anche a una somma a titolo di riparazione pecuniaria (cfr. Cass. Civ., sez. III, n. 29640/17).

Quest'ultima viene solitamente liquidata rapportandola in percentuale alla somma che viene riconosciuta a titolo di risarcimento.

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