La dichiarazione di fallimento è la sentenza con cui il Tribunale attesta il fallimento di un'impresa commerciale. Natura ed effetti

Avv. Antonella Lamanna - La dichiarazione di fallimento è la sentenza con cui la sezione fallimentare del Tribunale nella cui circoscrizione un'impresa ha la sede principale, ne attesta il fallimento, appunto.

La natura della dichiarazione di fallimento

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L'inquadramento giuridico è nella Legge Fallimentare, ossia il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Trattasi di una sentenza avente, contemporaneamente:

- natura dichiarativa, poiché con essa si accerta la sussistenza dei presupposti di legge per dichiarare il fallimento: lo stato di insolvenza di un imprenditore che esercita un'attività commerciale, cioè la sua manifesta e non transitoria incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni;

- natura costitutiva, poiché produce una serie di effetti giuridici nei confronti di soggetti interessati (cioè il fallito ed i creditori) che mirano ad assicurare la conservazione dell'ammontare dell'attivo e la cristallizzazione del passivo.

La sentenza de qua nomina il giudice delegato per la procedura ed il curatore; inoltre stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza; infine, assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell'adunanza per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.

La sentenza viene notificata al debitore e comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento.

Gli effetti per il fallito

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Il fallito viene privato, a far data dalla dichiarazione di fallimento, della disponibilità e dell'amministrazione dei suoi beni (di cui però conserva la proprietà); più precisamente, sia di quelli anteriori al fallimento sia di quelli che gli pervengono durante la procedura; l'imprenditore non può più compiere atti di disposizione del patrimonio e perde altresì il diritto a percepire i frutti provenienti dal godimento di essi.

Quest'effetto di natura patrimoniale viene indicato come "spossessamento", da cui sono esclusi:

  • i beni ed i diritti di natura strettamente personale;

  • gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;

  • i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi;

  • le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

Il fallito inoltre ha l'obbligo di consegnare al curatore la corrispondenza che abbia ad oggetto i rapporti che fanno parte del fallimento e le scritture contabili, i bilanci e gli elenchi dei creditori (entro tre giorni dalla dichiarazione di fallimento) nonché di comunicare eventuali modifiche della propria residenza o del proprio domicilio.

Gli effetti per i creditori

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Quanto agli effetti nei confronti dei creditori, le norme mirano a proteggere il patrimonio fallimentare dalle iniziative dei singoli creditori, al fine di realizzare la c.d. "par condicio creditorum": tutti i creditori dell'impresa fallita concorrono insieme per vedersi pagati i propri crediti, in condizioni di parità di trattamento, salvo cause legittime di prelazione (ad esempio, i creditori privilegiati hanno diritto di essere pagati integralmente, con prelazione sul prezzo dei beni che formano oggetto di garanzia o privilegio mentre i creditori chirografari saranno soddisfatti in proporzione al proprio credito, con il residuo dell'attivo fallimentare).

Il principio del "concorso" comporta che il diritto a partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni del fallito sostituisce ogni azione individuale di rivalsa sul debitore; pertanto, tutti i creditori dovranno accedere alla medesima ed unica procedura "concorsuale", appunto, presentando istanza di insinuazione al passivo.

Un ulteriore effetto della dichiarazione di fallimento è la possibilità di compensazione del debito del creditore verso il fallito e il credito che il fallito stesso ha verso il medesimo, anche se tale credito non è scaduto alla data del fallimento.

Nei confronti dei creditori, sono inefficaci atti a titolo gratuito compiuti nei due anni antecedenti la dichiarazione di fallimento, nonché i pagamenti anticipati dei crediti che vadano a scadere nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, effettuati dal fallito nei due anni precedenti la sentenza fallimentare, presumendoli avvenuti in frode ai creditori.

Il legislatore riconosce al curatore la facoltà di chiedere giudizialmente che venga dichiarata l'inefficacia degli atti compiuti dal debitore fallito in pregiudizio dei creditori, promuovendo l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.

Gli effetti processuali

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Il fallito perde capacità processuale con riferimento ai rapporti che sono oggetto del fallimento.

La sentenza produce ex lege l'interruzione dei processi aventi ad oggetto i rapporti compresi nel fallimento.

Viene legittimata, per il curatore l'esperibilità della azione revocatoria fallimentare, entro tre anni dalla dichiarazione e comunque non oltre cinque anni dal compimento dell'atto, a pena di decadenza) privando di effetto gli atti di disposizione, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito nell'anno o nei sei mesi antecedenti al fallimento.

Tanto poiché il debitore, nel lasso di tempo che intercorre fra l'insorgere dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento, potrebbe compiere atti pregiudizievoli degli interessi dei creditori, oppure a favore di alcuni creditori e a danno di altri.

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