Pensieri ad alta voce sulle dinamiche del compromesso e sulle sue possibili valenze positive in un sistema democratico

Roberto Cataldi - Una delle parole più temute quando si parla di politica è: "compromesso". Spesso, tradendo la sua origine etimologica, al termine viene data una valenza negativa. Lo si associa all'ambivalenza, all'inciucio politico, al difetto d'onestà e d'integrità morale. Ma si tratta chiaramente di una distorsione dettata dai tempi, soprattutto dalle vicende politiche che i media in questi ultimi 30 anni ci hanno raccontato, mettendo in evidenza un mal costume tipizzante dell'agire politico.

Eppure la parola compromesso deriva dal latino "cum-promissus" che letteralmente significa "promesso insieme", ed anche nel nostro ordinamento giuridico il "compromesso" sta ad indicare una serie di istituti che non hanno in sé nulla di negativo. Il compromesso può essere ad esempio l'accordo che consente alle parti di giungere a una transazione oppure può una scrittura privata con cui le parti assumono obbligazioni reciproche.

Ma in ambito politico? Si può parlare davvero di democrazia senza un compromesso? Ma soprattutto quali sono le possibili alternative?

Non credo si possa parlare di democrazia in senso pieno, se l'alternativa è lo scambio di adesioni a punti programmatici. Una simile idea di democrazia rischia di tradursi in una sorta di baratto politico, un "do ut des" che nulla ha a che fare con la dialettica delle alleanze, poiché non si fonda sulla ricerca della sintesi tra forze differenti che poggiano su valori condivisi, bensì su una sorta di mercanteggiare su posizioni in precedenza considerate inconciliabili e dicotomiche. Si pone in essere una sorta di compravendita di principi e rivendicazioni il cui unico fine è la tenuta del Governo.

Questione di responsabilità? Direi proprio di no. Non credo vi sia nulla di responsabile nel costringere i parlamentari a violentare la propria coscienza o a tradire i programmi con i quali ci si è presentati agli elettori.

Il problema nasce probabilmente da un equivoco di fondo: si ritiene che le forze di maggioranza debbano necessariamente dimenticare le loro differenze e allinearsi su ogni tematica oggetto del dibattito democratico. In questo modo però, nel nome di una presunta "necessità" politica, si rischia di svuotare di significato il lavoro parlamentare. Se si vuole restituire centralità al parlamento

occorre anche accettare l'idea che se all'interno dell'esecutivo non vi è l'accordo su alcuni punti programmatici la questione dev'essere risolta in Parlamento. È quello il luogo in cui può attuarsi un vero confronto Democratico, è li che i parlamentari possono svolgere il loro compito mostrando onestà intellettuale e coerenza ai propri valori nell'esprimere il proprio voto.

Insomma perché mai dovremmo rassegnarci all'idea che un Governo possa andare in crisi solo perché ci sono alcuni temi in cui non si riesce a trovare un'intesa? Il mancato accordo sulla totalità dei temi oggetto del dibattito sta solo a significare che ogni forza politica ha dei propri principi e dei valori che non possono coincidere nella totalità con quelli di altre forze politiche sia pur alleate. La democrazia è fatta anche di disaccordi, di pensieri diversi, di confronto. E quando c'è disaccordo è bene che sia il Parlamento a decidere. Non devono esserci né vincitori né vinti, perché in questo caso a vincere è la democrazia, il rispetto della Costituzione. Dovremmo forse iniziare ad avere l'umiltà di accettare che le idee del singolo (così come quelle di un gruppo parlamentare) vanno messe democraticamente in discussione.

Ma torniamo al discorso del compromesso. Il termine sta anche a indicare "mediazione", che è cosa ben diversa dallo scambio di voti o di poltrone.

La mediazione è faticosa e paziente ricerca di un punto d'incontro tra interlocutori diversi, poiché è naturale che non esista un pensiero univoco: il maggiore sforzo che si deve fare è quello di rispettare il voto degli elettori e di mantenere fede ai principi basilari della democrazia. Un accordo però si può trovare su molte cose ma non su tutte giacché le forze politiche non possono rinunciare completamente alla propria identità. E se su alcuni temi manca un accordo nella maggioranza, non si può che lasciar decidere liberamente il Parlamento che deve restare il luogo per eccellenza in cui mettere in atto il confronto al fine di trovare "la quadra" per il bene del Paese.

Come possono, le segrete stanze o i retrobottega dei partiti, sostituire gli scranni della Camera e del Senato? E' li che la nostra democrazia deve trovare il coraggio del compromesso, nel significato più nobile del termine. E il compromesso significa anche rispetto delle minoranze, significa trovare se non la soluzione migliore, quanto meno quella meno distante dalle esigenze dei cittadini nella consapevolezza che questi ultimi valgono molto di più degli interessi di partito.

Quando un politico dialoga con un avversario deve sempre considerare che davanti a sé non c'è solo una persona con idee diverse dalle proprie, ma c'è il rappresentante di una fetta importante della popolazione e che soltanto per questo merita rispetto e ascolto. La democrazia si fonda anche sui dissensi e sulle obiezioni che sono l'espressione di istanze contrapposte che arrivano dalla società.

Dando valore al dialogo costruttivo e alla ricerca di soluzioni condivise si da compimento, dunque, a una vera democrazia. Senza la disponibilità al compromesso, nel senso sopra indicato, si rischia di lasciar prendere forma al suo contrario che, a pensarci bene, è l'incapacità di dialogare, di smussare le spigolature, è il lento, pericoloso, scivolare verso l'integralismo, l'intransigenza, il fanatismo, con tutte le conseguenze che questa deriva può comportare.

Il dialogo costruttivo è cosa ben diversa dall'inciucio, dagli accordi occulti, è il dibattito onesto che ci costringe al rigore di una riflessione logica.

Purtroppo l'assenza di dialogo è proprio ciò che sta caratterizzando da qualche decennio la politica contemporanea. Persiste un integralismo nelle prese di posizione che si svolge all'insegna del "si vince o si perde", senza mai considerare che tra la tesi e l'antitesi esiste anche la sintesi.

Una democrazia fondata sul dialogo costringe a mettersi sempre in discussione e a saper cogliere quel che di giusto può esserci anche nel pensiero altrui.

Ovviamente è quello che ci si può augurare in una democrazia praticata da esseri pensanti, che hanno una storia millenaria. Proprio la storia può esserci di grande aiuto per evitare gli errori fatti in passato e aiutarci a comprendere che la politica è stata sempre un continuo muoversi verso il compromesso perché, diciamolo chiaramente, il "mondo si muove" nella necessaria coesistenza di molteplici punti di interesse in gioco.

Ecco, sotto questo punto di vista, il compromesso è sempre esistito. Abbiamo creato di tutto in oltre 2000 anni, ma non esisterebbe probabilmente nulla se oltre alle guerre non ci fosse stato un fine: la pacifica convivenza di individui profondamente diversi.

Se tutti noi vogliamo porci questo fine dobbiamo imparare a coltivare la virtù del dubbio, dell'ascolto, della sospensione del giudizio, consapevoli che l'intransigenza, come scrisse Kierkegaard, è l'essenza del fanatismo, e che dal fanatismo ogni tragedia diventa possibile.

Vedi anche: Vaniloquio parlamentare


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