Per la Suprema Corte, il compenso dell'avvocato non si può azzerare, attraverso un indebito dare-avere, solo per un eccesso di zelo

di Annamaria Villafrate - Con l'ordinanza n. 3926/2019 (sotto allegata) la Cassazione accoglie il ricorso di un'avvocata, condannata erroneamente a pagare le spese di lite al Ministero dell'Interno, visto che il dicastero non avrebbe dovuto essere convenuto in giudizio. Per gli Ermellini infatti non è giusto sanzionare l'avvocata ricorrente "azzerandole" praticamente il compenso solo perché, per un eccesso di zelo, si è preoccupata di notificare anche al Ministero degli Interni il ricorso, non perché parte del giudizio, ma per mera conoscenza.

La vicenda processuale

Il Tribunale di Roma, adito in riassunzione dopo una SU della Suprema Corte, liquida con ordinanza a un avvocata il compenso per l'attività svolta in un giudizio di ottemperanza svoltosi di fronte al TAR Lazio nell'interesse di un suo cliente, ammesso al gratuito patrocinio.

Con il provvedimento il Tribunale condanna il soccombente Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di quello instaurato dopo la riassunzione, liquidando al legale i compensi, le spese generali, l'Iva e la Cassa Professionale. Condanna però anche l'avvocata al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero dell'Interno.

"La condanna al rimborso delle spese in favore del Ministero dell'Interno è stata giustificata in base alla regola della soccombenza, rilevandosi che quest'ultimo Ministero, del quale era stata esclusa la legittimazione "non avrebbe dovuto essere convenuto e pertanto non avrebbe dovuto partecipare a nessuna fase e a nessun incidente di questo procedimento".

Avverso l'ordinanza del tribunale l'Avvocata propone ricorso in Cassazione contestando, in particolare, nel primo motivo la condanna alle spese in favore del Ministero dell'Interno, al quale l'opposizione è stata notificata solo con finalità di conoscenza, in quanto parte del giudizio presupposto, nel rispetto degli artt. 84 e 170 DPR n. 115/2002. Il Ministero della Giustizia, quello dell'Interno e il cliente non si difendono.

Non si può azzerare il compenso all'avvocata perché troppo zelante

Con ordinanza n. 3926/2019, la Cassazione ritiene il primo motivo fondato in quanto:

  • l'art 84 del D.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che "avverso il decreto di pagamento del compenso al difensore, all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte, è ammessa opposizione ai sensi dell'art. 170".
  • mentre il comma 1 dell'art. 170 stabilisce a sua volta che "avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione, al presidente dell'ufficio giudiziario competente".

Ora, se è vero che nel procedimento d'opposizione il Ministero della Giustizia è una parte necessaria, è vero anche che al Ministero dell'Interno, in quanto parte del giudizio presupposto "il ricorso era stato notificato solo per mera conoscenza". Del resto nessuna domanda è stata avanzata nei suoi confronti. Palese quindi l'errore del Tribunale, che non ha individuato correttamente il ruolo del Ministero degli Interni, a cui il ricorso è stato notificato, non perché tenuto a liquidare il compenso, ma solo perché parte del processo presupposto.Errore che è costatata all'avvocata zelante una sanzione decisamente pesante, visto che, tramite un indebito "dare -avere", il compenso le è stato praticamente azzerato.

Scarica pdf Cassazione ordinanza n.3926 -2019

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