La Corte ricorda che il ricorso sistematico alla violenza, anche se sostenuto dall'intento educativo, integra il reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p.

di Annamaria Villafrate - Maltratta gli alunni la maestra della scuola materna che spedisce i bambini in una stanza buia per riflettere sulle proprie marachelle. Questa la conclusione a cui è giunta la Cassazione nella sentenza penale n. 5205/2019 (sotto allegata) che, respingendo la ricostruzione "edulcorata" dei fatti operata dalla maestra e condividendo le conclusioni a cui sono giunti i giudici di merito nei due gradi di giudizio, ha ricondotto le ripetute condotte violente dell'insegnate al reato di maltrattamenti. La finalità correttiva, infatti, se perseguita attraverso condotte violente ripetute, impedisce la riconducibilità al reato meno grave di abuso dei mezzi di correzione.

La vicenda processuale

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La Corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado con cui l'imputata è stata condannata per il reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p alla pena della reclusione di due anni e otto mesi.

Il giudice di secondo grado è giunto a questa decisione dopo aver condiviso pienamente le conclusioni del giudice di primo grado, in quanto:

  • sono risultate attendibili le prove testimoniale e le riprese audio e video all'interno della scuola materna in cui l'imputata prestava servizio;
  • la condotta della maestra è stata ricondotta correttamente al reato di maltrattamenti a causa delle reiterate condotte violente commesse ai danni degli alunni. Il ricorso reiterato a violenza fisica e morale, non può essere considerato un metodo educativo o d'insegnamento, considerata la tenerà età degli alunni.

La sedia del pensiero? Metodo Montessori

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La maestra condannata in primo e secondo grado ricorre in Cassazione ritenendo erronea la qualificazione delle sue condotte come maltrattamenti. Esse devono essere ricondotte infatti alla metodologia Montessori, che contempla il ricorso alla tecnica del "time out", ovvero l'impiego della "sedia del pensiero." Il bambino, in pratica, viene invitato ad accomodarsi su una sedia posta vicina alla maestra, per farlo riflettere sul suo comportamento. L'insegnante ritiene altresì che la sua condotta, a causa del condizionamento mediatico, sia stata qualificata erroneamente come violenta.

Ella infatti non era solita schiaffeggiare i bambini, ma dargli qualche "leggero schiaffetto di assoluta lieve entità". Non solo, a falsare la realtà ha sicuramente contribuito la pessima qualità delle riprese audio-video, visto che la "stanza del telefono", in cui venivano mandati i bambini più agitati non era affatto buia, ma ben illuminata. Da escludersi inoltre l'attribuzione alla stessa di condotte umilianti, violente, denigratorie e quindi pericolose per l'equilibrio psicologico dei bambini. Da considerare inoltre il fatto che, nel corso delle intercettazioni, durate 75 giorni, solo tre giorni su dodici sono stati ritenuti rilevanti dal giudice. Non ricorrerebbe quindi l'abitualità richiesta per configurare il reato di maltrattamenti. Si sono verificate piuttosto condotte isolate, riconducibili a comportamenti eccessivi dei bambini, tanto che gli stessi, durante le riprese, non hanno mai pianto quando ricevevano qualche scappellotto. Da segnalare infine che i segni rilevati sul collo di due bambini risultano perfettamente compatibili con gli effetti di semplici litigi tra loro.

Il ricorso sistematico alla violenza integra il reato di maltrattamenti

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La Cassazione, con la sentenza n. 5205/2019 respinge il ricorso della maestra ritenendolo infondato. Le contestazioni dell'insegnante presupporrebbero infatti una valutazione ex novo dei fatti, che in sede di legittimità non è consentita. Risulta provato il ricorso sistematico a comportamenti violenti, come schiaffi, tirate d'orecchi e di capelli, utilizzo di espressioni denigratorie e di condotte violente consistenti nello strappare loro i disegni o togliergli l'acqua o lasciarli soli a pensare nella "stanza del telefono", poco illuminata, o in bagno. Inammissibile altresì le censure relative alle lesioni riportate dai bambini, che la maestra, nonostante la presenza di referti medici, tenta di ricondurre a semplici litigi tra loro. Da respingere anche le contestazioni relative alla qualità delle immagini delle riprese audio video da cui emerge, contrariamente a quanto affermato dall'insegnante, l'abitualità delle condotte violente tenute dalla stessa, consistenti nell'isolamento dei bambini per punizione e nell'utilizzo di espressioni ingiuriose e minacciose. La qualità delle immagini non può essere oggetto di valutazione da parte dell'imputato, considerato che il giudice di merito le ha ritenute attendibili. Dal punto di vista infine della qualificazione giuridica dei fatti, è errato ritenere tali condotte riconducibili al reato di abuso dei mezzi di correzione. Esse integrano infatti correttamente il reato più grave di maltrattamenti, poiché "l'uso sistematico della violenza, ancorché sostenuta da animus corrigendi, esclude la configurabilità del reato meno grave di cui all'art. 571 c.p."

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