Incolpare taluno di un reato può integrare gli estremi del reato di calunnia, ex art. 368 c.p., per lo stesso denunciante

Avv. Ilaria Parlato - Incolpare taluno di un reato: può comportare reato per lo stesso denunciante? Sì, incolpare qualcuno di un reato può costituire - alla presenza di determinati presupposti di fatto e di diritto - ipotesi di reato a carico dello stesso denunciante.

Il reato di calunnia

Non a caso può integrare gli estremi del reato di calunnia il quale - per espresso dispositivo dell'art. 368 c.p. - sussiste allorché un soggetto "con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato".

Dalla lettura della suddetta disposizione dottrina e giurisprudenza evince che il c.d. "bene" che quivi si brama a tutelare è, principalmente, "il corretto funzionamento dell'amministrazione della giustizia, affinché questa non venga fuorviata o tratta in inganno da false incolpazioni (cft.: Trib. Campobasso, 07 febbraio 2017, n.39; Cass. Sez. VI, 26 gennaio 1993 - 26 marzo 1993 n. 3040)".

Non manca tuttavia giurisprudenza che, classificando il delitto de quo come "reato plurioffensivo", evidenzia come il "bene" tutelato dalla norma si identifichi sia nel normale funzionamento dell'amministrazione della giustizia, sia nell'onore e nella privazione della libertà del soggetto calunniato (cfr. Trib. Campobasso, 07 febbraio 2017, n.39; Cass. pen., sez. VI, sentenza 28-04-2010, n. 21789; Cass. Sez. I, 2 agosto 1988 n. 1880)".

Circa il suo classificarsi nella summa divisio dei reati, quale la summa divisio dei reati tra contravvenzioni e delitti di cui agli artt. 17 - 39 c.p., è evidente che il reato di calunnia si atteggia quale "delitto".

L'integrazione del suddetto reato, infatti, ha come propria sanctio legis la pena della reclusione, la quale - in via generale ed a seconda della fattispecie specificamente realizzata - può avere arco temporale da anni due ad anni venti.

La condotta punibile

In via preliminare si precisa che la ratio dell'incriminazione del fatto previsto dall'art. 368 c.p. risiede nella necessità di scongiurare il pericolo, anche se lieve e solo astratto, che si proceda a carico di un soggetto innocente.

Ebbene, proprio anelando a scongiurare il suddetto pericolo, il Legislatore (allorché sussistano ovviamente anche tutti gli altri presupposti di Legge) punisce la condotta oggettivamente idonea a determinare - sic et simpliciter - l'astratta possibilità dell'inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata e di cui l'accusatore conosce l'innocenza (cft.: Cass. Sez. VI, 07 ottobre 2014 n. 45262; Cass. Sez. VI, 21 agosto 2012, n. 32944; Cass. Sez. VI, 20 luglio 2011 - 22 luglio 2011, n. 29579).

Per facta concludentia, affinché sussista la condotta punibile dall'art. 368 c.p., occorre che la falsa incolpazione - essendo astrattamente configurabile come notizia criminis - sia idonea all'apertura delle indagini preliminari (cft. Cass. Sez.VI, 5 novembre 2003 - 18 dicembre 2003 n. 48525).

Conseguenze ineludibili di ciò sono sia l'atteggiarsi del reato di calunnia quale reato si pericolo (così classificato, ex pluris, anche in: Cass. Sez. II, 24 novembre 2005 - 4 maggio 2006, n. 15559; Cass. Sez.VI, 5 novembre 2003 - 18 dicembre 2003 n. 48525; Cass . Sez. VI, 17 febbraio 2003 - 17 aprile 2003, n. 18359), sia la non integrazione del delitto de quo allorché la falsa incolpazione non contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale.

È proprio alla luce di tale ultima asserzione che si reputa non integrato il delitto di calunnia allorché il reato oggetto dell'accusa sia perseguibile a querela di parte e questa non risulti presentata (ex pluris: Cass. Sez. VI, 24 febbraio 2011 - 14 marzo 2011, n. 10221; Cass. Sez. VI, 15 dicembre 2010 - 4 febbraio 2011 n. 4389; Cass., Sez. VI, 29 marzo 2007 - 28 settembre 2007, n. 35800; Cass. n. 16644 del 1989), difettando in tale caso - infatti - la condotta oggettivamente idonea a dare adito all'esercizio dell'azione penale.

L'elemento soggettivo

Ai fini dell'integrazione del reato, oltre all'attribuzione di false accuse aventi le caratteriste come sopra enucleate, occorre un quid pluris rappresentato dall'elemento soggettivo del reato stesso.

Più precisamente, onde integrare l'elemento soggettivo del delitto de quo, occorre che il denunciante - nell'accusare un'altra persona di un reato - agisca intenzionalmente e con la certezza dell'innocenza dell'incolpato (cfr.: Corte di Appello Torino, Sez. I, 26 febbraio 2018, n.251; Cass. Sez. VI, 23 maggio 2013 - 27 maggio 2013, n. 229222; Cass. Sez. VI, 10 giugno 2009 - 7 luglio 2009, n. 27846; Cass., Sez. VI, 2 aprile 2007 - 10 maggio 2007, n. 17992; Cass. Sez. VI, 10 luglio 2000 - 19 settembre 2000 n. 9853).

Esaminando plurime pronunce giurisprudenziali si evince che il c.d. dolo da calunnia abbraccia in sé proprio questa certezza di innocenza e l'intenzionalità dell'incolpazione atteso che questi "elementi, seppur distinti, devono entrambi ricorrere ai fini della sussistenza del dolo del delitto di calunnia, da ritenere integrato solo nel caso in cui sussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo (sicura conoscenza della non colpevolezza dell'accusato) e momento volitivo (intenzionalità dell'incolpazione)": cft.: Cass. Sez. VI, 14 luglio 2015 - 21 settembre 2015, n. 38296; Cass. Sez.VI, 23 maggio 2013 - 27 maggio 2013, n. 22922; Cass. Sez.VI, 6 novembre 2009 - 1 dicembre 2009, n. 46205; Cass. Sez. VI, 10 giugno 2009 - 7 luglio 2009, n. 27846; Cass. Sez. VI, 10 luglio 2000 - 19 settembre 2000, n. 9853.

Al riguardo la giurisprudenza - enfatizzando il principio per cui, ai fini dell'integrazione del reato di calunnia, è necessario che il soggetto attivo del reato abbia la certezza o l'immanente consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato - esclude la suddetta fattispecie delittuosa di calunnia allorché il soggetto abbia formulato l'accusa vertendo in stato di dubbio o di errore ragionevole circa la colpevolezza della persona accusata (cft: Cass. Sez.VI, 23 maggio 2013 - 27 maggio 2013 n. 22922; Cass. Sez. VI, 27 aprile 2012, n.26819; Cass. Sez. VI, 6 novembre 2009 - 1 dicembre 2009 n. 46205; Cass. Sez. VI, 10 giugno 2009 - 7 luglio 2009 n. 27846; Cass. Sez. VI, sentenza 10 maggio 2007 n. 17992; Cass. Sez. VI, 2 aprile 2007, n. 236448; Cass. Sez. VI, 16 marzo 2000 - 26 settembre 2000, n. 10150; Cass. Sez. VI, 12 aprile 1995 - 17 giugno 1995, n. 6990; Cass. 23 settembre 1987; Cass. 17 giugno 1983; Cass. 8 febbraio 1983; Cass. 5 dicembre 1980; Cass. Sez. III, 27 ottobre 1969 - 29 novembre 1969 n. 1897; Cass. 13 novembre 1969; Cass. 9 novembre 1967; Cass. 16 febbraio 1961).

All'uopo, tuttavia, si precisa che l'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude il dolo del denunciante solo "laddove vi siano state un'effettiva verifica o una corretta rappresentazione dei fatti storici su cui l'errore si è fondato, in quanto l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità all'incolpato (Cass. Sez. VI, 27 aprile 2012 - 9 luglio 2012, n. 26819)".

Perché possa escludersi l'integrazione del delitto previsto e punito dall'art. 368 c.p. si necessita, inoltre, "che il denunciante abbia agito basandosi su circostanze di fatto non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia tale da indurre una persona di normale cultura e capacità di discernimento a ritenere la colpevolezza dell'accusato (Cass., Sez. VI, 15 giugno 2012 - 18 luglio 2012, n. 29117; Cass., Sez.VI, 6 novembre 2009 - 29 gennaio 2010, n. 3964)".

Oltre alle suddette ipotesi si evidenzia che la fattispecie criminosa de quo non sussiste neppure allorché il soggetto, senza avere la intenzione di accusare una persona innocente, si sia limitato alla formulazione di addebiti temerari (Cass. Sez. VI, 14 luglio - 21 settembre 2015, n. 38296; Cass. Sez. VI, 18.2.2009 - 17.4.2009 n. 16645).

Ai fini dell'integrazione del reato di calunnia non assume rilevanza giuridica nemmeno il c.d. dolo eventuale, giacché la formula normativa di cui all'art. 368 c.p. (quale: "taluno che egli sa innocente"), "risulta particolarmente pregnante e indicativa della consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (ex pluris: Cass. pen., sez. VI, sentenza 16-12-2008, n. 2750; Cass. Sez. VI, sentenza 2 aprile 2007, n. 17992; Cass. Sez. VI, 07 marzo 2007, n.34881; Cass. Sez. VI, 10 luglio 2000 n. 9853)".

Non a caso è principio ormai risalente in giurisprudenza, e consolidato tutt'oggi, che il dolo da calunnia viene meno in toto anche allorché il denunciante non abbia la consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Cass. 31 gennaio 1984; Cass. Sez. VI, 5 dicembre 1980 - 21 aprile 1981 n. 3683).

Conseguenza ineludibile di tutto quivi specificato sarà la non integrazione del reato di calunnia ogni qualvolta difetti il suddetto elemento soggettivo o altro elemento costitutivo della fattispecie criminosa di cui si discorre, nonché (ovviamente) la non assoggettabilità del denunciante ad alcuna pena non essendo la fattispecie concreta possibile di sussunzione nell'art. 368 c.p.

Avv. Ilaria Parlato
pec: i.parlato@pec.ordineavvocatinocerainferiore.it
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L'Avv. Ilaria Parlato, civilista e penalista, ha conseguito - a pieni voti - la Laurea Magistrale in Giurisprudenza, ciclo unico quinquennale, presso l'Università degli Studi di Napoli Parthenope.
È autrice di articoli scientifici e del libro "Risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali in regime more uxorio" pubblicato dalla Fondazione Mario Luzi nell'anno 2016


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