La Corte Costituzionale ritiene inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata contro l'art. 9, comma 1, d.l. n. 1/2012 che ha abrogato le previgenti tariffe professionali

di Lucia Izzo - È inammissibile la questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 9, comma 1, d.l. n. 1/2012 (conv. in l. n. 27/2012), che ha abrogato le previgenti tariffe professionali, non essendo stato violato il parametro di cui l'art. 77, comma 2, della Costituzione.


Lo ha chiarito la Corte Costituzionale nell'ordinanza n. 204/2018 (qui sotto allegata) depositata il 15 novembre.


La questione viene rimessa alla Consulta dalla la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, dopo che questa ha respinto nel merito la domanda di un contribuente in un giudizio di opposizione ad avviso di liquidazione relativo ad accertamento di omesso versamento di imposta del registro.

I dubbi di costituzionalità

Tuttavia, insede di liquidazione delle spese giudiziali in favore della vittoriosa Agenzia delle entrate, la CTP ritiene di dover sollevare, in riferimento all'art. 77, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale inerente l'art. 9, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27.


Secondo il giudice rimettente, infatti, la disposizione denunciata, che ha abrogato le previgenti tariffe professionali, violerebbe il parametro evocato, in quanto adottata in difetto del requisito della «necessità», cui è subordinato (oltre a quello della «urgenza») l'esercizio in casi straordinari del potere legislativo da parte del Governo.


Ad avviso della CTP, "quantomeno in ambito forense", la cosiddetta liberalizzazione delle tariffe si concretizzerebbe "in un depauperamento del professionista (...) che abbia assistito il contribuente nel giudizio tributario, senza che tale minor locupletazione possa incidere sulla economia nazionale, men che meno sulla libera concorrenza professionale".

Questa, anzi, finirebbe con l'incidere sui consumi, riducendo la capacità d'acquisto del reddito prodotto in sede professionale, per cui non vi sarebbe stato motivo, ad avviso della Commissione, di abrogare le tariffe professionali che "hanno svolto egregiamente la propria funzione nell'arco di ben 70 anni".

Non illegittima l'abrogazione delle previgenti tariffe professionali

Tuttavia, spiega la Consulta, la rimettente trascura di considerare che, ai sensi del comma 2 del censurato art. 9 del d.l. n. 1 del 2012, "nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale"(quale, appunto, quella che essa deve effettuare), il quantum del compenso è sottratto alla logica della liberalizzazione, poiché va "determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante".

Inoltre, come emerge dalla stessa ordinanza di rimessione, ciò che, nella specie, quel giudice deve liquidare è il compenso dovuto alla difesa dell'Agenzia delle entrate e non quello dovuto al professionista che abbia assistito il contribuente, esclusivamente in relazione al quale sono formulate le censure rivolte alla norma abrogativa delle previgenti tariffe professionali.

In conclusione, la questione sollevata è, sotto più profili, priva di concreta rilevanza nel giudizio a quo (e, comunque, è su tali profili assolutamente carente di motivazione), il che ne comporta la manifesta inammissibilità.

Scarica pdf Corte Costituzionale, ord. n. 204/2018

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