La maxisazione per il lavoro nero non esclude l'applicazione anche di quella per la mancata retribuzione con strumenti tracciabili. I chiarimenti dell'Ispettorato del lavoro

di Lucia Izzo - Oltre alla maxisanzione prevista dal D.L. n. 12/2002, i datori di lavoro che impiegano lavoratori "in nero" rischiano di dover pagare anche quella di cui al all'art. 1, comma 913, L. n. 205/2017, se non effettuano il pagamento della retribuzione con strumenti tracciabili.


Lo ha chiarito l'Ispettorato del Lavoro nella nota n. 9294 del 9 novembre 2018 (qui sotto allegata), rispondendo alle richieste di alcuni uffici territoriali, ha fornito chiarimenti sulla corretta applicazione del regime sanzionatorio di cui al citato comma 913 nelle ipotesi di irrogazione della maxisanzione per lavoro "nero" (art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002).


In una precedente nota, l'Ispettorato si era già pronunciato sul rischio, per i datori che pagano stipendi in contanti, di incorrere anche nell'ulteriore sanzione per violazione del divieto d'uso del contante ove le somme corrisposte superassero i 3mila euro (leggi anche: Stipendi pagati in contanti? Multa doppia).

Retribuzione: il pagamento deve avvenire con strumenti tracciabili

Come noto, a partire dal 1° luglio 2018, i datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori la retribuzione e gli anticipi sulla stessa tramite banca o ufficio postale, ovvero utilizzando gli strumenti di pagamento tracciabili ai sensi del comma 910 dell'art. 1 della legge n. 205/2017.


Leggi anche: Stipendio in contanti: dal primo luglio multa fino a 5.000 euro


I datori di lavoro e i commentanti che corrispondono la retribuzione o gli anticipi senza avvalers degli strumenti di pagamento espressamente indicati, rischiano una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro.


La disposizione si applica a "ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142".


Inoltre, nella precedente nota n. 5828/2018 (per approfondimenti: Stipendi: una multa al mese per chi paga in contanti), l'Ispettorato ha precisato che l'illecito si configura ogniqualvolta venga corrisposta la retribuzione in violazione del menzionato comma 910, secondo la periodicità di erogazione che, di norma, avviene mensilmente.


L'Ispettorato ha anche chiarito che "rientra tra gli strumenti di pagamento elettronico previsti dalla lettera b) del comma 910 dell'art. 1, il versamento degli importi dovuti effettuato su carta di credito prepagata intestata al lavoratore" (per approfondimenti: Stipendio: si può accreditare su carta prepagata?)

Lavoro nero e stipendi in contanti: il datore rischia la doppia sanzione

Cosa accade, invece, quando gli organi ispettivi accertino, oltre alla violazione sulle modalità di retribuzione, che il datore impiega lavoratori "in nero"? D'altronde, è assai improbabile che il lavoratore "in nero" sia remunerato utilizzando strumenti "tracciabili".


Secondo l'Ispettorato, in tal caso, nonostante nei confronti del datore sia scattata anche la c.d. maxisanzione per lavoro "nero", non può di per sé escludersi l'applicazione anche della sanzione prevista dal comma 913: quest'ultima, infatti, discende del comportamento antigiuridico adottato ed è posta a tutela di interessi non esattamente coincidenti con quelli presidiati dalla maxisanzione.


Il legislatore, sottolinea l'INL, quando ha voluto escludere l'applicazione di ulteriori sanzioni in caso di contestazione della maxisanzione lo ha fatto espressamente. Inoltre, stante il tenore letterale del comma 910, l'illecito si configura solo laddove sia accertata l'effettiva erogazione della retribuzione in contanti.


Poiché, nel caso di lavoro "nero", la periodicità della erogazione della retribuzione può anche non seguire l'ordinaria corresponsione mensile, ove venisse accertata la corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in "nero" sono state effettuate.


Resta ferma, infine, l'adozione della diffida accertativa per il caso in cui, accertata la corresponsione della

retribuzione, quantunque in contanti, la stessa risulti inferiore all'importo dovuto in ragione del CCNL applicato dal datore di lavoro.

Scarica pdf Ispettorato del Lavoro, nota n. 9294/2018

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