- Divieto detenzione armi: l'impugnazione
- Divieto detenzione armi: l'autotutela
- Quando l'autotutela è ammissibile
Divieto detenzione armi: l'impugnazione
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La regola di base ammetterebbe, in teoria, una risposta articolata su tre passaggi:
a) il Vice Prefetto invia la comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90 di avvio del procedimento,
b) successivamente dispone il divieto,
c) quindi l'interessato impugna il provvedimento in via gerarchica o giurisdizionale.
Questo lo schema di base.
Tuttavia la procedura illustrata ammette eccezioni.
Divieto detenzione armi: l'autotutela
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L'eccezione è questa.
Per presentare una richiesta in autotutela l'interessato omette di impugnare il provvedimento in via gerarchica o giudiziale e, con un apposito atto, chiede al Prefetto di revocare il divieto sulla base di specifiche argomentazioni (pensiamo al caso, ad esempio, in cui il divieto sia stato emesso in quanto sul ricorrente si addensano sospetti sulla commissione di reati di violenza privata o violazione di domicilio e, in un secondo momento, egli si sente in grado di dimostrare che in realtà nessun reato si è consumato, oppure egli non è stato sottoposto ad alcun procedimento penale, oppure c'è stata la remissione della querela e, su tutto questo, l'Autorità riesamina nuovamente la situazione).
Quando l'autotutela è ammissibile
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Vediamo dunque quando tutto questo si può fare.
In alcuni casi, dunque, il ricorso giudiziale sul diniego dell'autotutela viene ritenuto meritevole (Tar Potenza Sez. 1, sentenza n. 472 del 18 luglio 2018) di un regolare processo amministrativo: si tratta dei casi nei quali l'Autorità riesamina la situazione nuova e da vita alla cosiddetta riponderazione degli interessi pubblici e privati in conflitto.
Se invece, diversamente, il caso non presenta elementi nuovi da valutare, allora il diniego di autotutela è sempre un atto meramente confermativo che non riapre i termini (60 giorni) per l'impugnazione del primo provvedimento confermato.
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