Per gli Ermellini l'aggravante dell'uso di sostanze alcoliche non scatta se la vittima di stupro ha volontariamente ecceduto con l'alcool

di Lucia Izzo - Cosa accade quando una donna che ha volontariamente e senza costrizione bevuto troppo alcool, al punto da non essere in grado di autodeterminarsi, è vittima di un abuso sessuale? Per la Corte di Cassazione non c'è dubbio: nei confronti dei responsabili dello stupro la scatta la condanna per violenza sessuale, poiché le condizioni della vittima non costituiscono consenso al rapporto.


A conclusione diversa deve giungersi, tuttavia, circa la configurazione dell'aggravante prevista dall'art. 609-ter, comma 1, n. 2, del codice penale: questa, infatti, non può sussistere laddove la vittima dell'abuso abbia assunto di sua spontanea iniziativa sostanze alcoliche in quantità eccessiva, senza essere a ciò stata indotta dai suoi aggressori.


È questo il passaggio, da molti ritenuto particolarmente controverso, della sentenza n. 32462/2018 (qui sotto allegata) con cui la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda di stupro in cui la vittima era risultata ubriaca per aver, senza costrizione, assunto un'eccessiva quantità di alcool.


Le reazioni negative e le polemiche all'operato dei giudici non sono mancate, complici anche titoli spesso fuorvianti riguardanti la decisione degli Ermellini. Tuttavia, la vicenda ha posto nuovamente al centro del dibattito il modo in cui i giudici e il codice penale italiano puniscono le violenze sessuali, ovvero, secondo alcuni, spostando in parte l'attenzione e la "responsabilità" dell'accaduto sulla vittima anziché sui colpevoli del reato.

La vicenda

I fatti risalgono al 2009. La vittima aveva cenato assieme a due uomini e aveva assunto un'eccessiva quantità di alcol, tale da porla in condizione di non riuscire ad autodeterminarsi. Dopo cena, i due che erano con lei l'avevano condotta in camera da letto e avevano abusato di lei.


In riforma della sentenza di prime cure (di assoluzione), gli imputati erano stati condannati dai giudici di appello per violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p., aggravata dalla circostanza prevista dall'art. 609-ter del codice penale, comma 1, n. 2, ovvero per aver commesso i fatti con l'uso di sostanze alcoliche.

La condanna viene in toto confermata dai giudici di Cassazione, eccetto che per l'aggravante in parola che gli Ermellini ritengono non sussistere nel caso in esame con contestuale possibilità che la pena venga per i due rivista al ribasso dal giudice del rinvio. Secondo la difesa dei due imputati non vi era stato da parte loro alcuna riduzione a uno stato di inferiorità poiché la donna aveva assunto le sostanze alcoliche volontariamente e senza alcuna costrizione.

Violenza sessuale anche se la vittima ha volontariamente bevuto troppo

La circostanza che la donna avesse volontariamente bevuto molto non mette in discussione, secondo i giudici di legittimità, la responsabilità dei due per il reato in epigrafe, posto che le condizioni della vittima non costituivano un consenso ai rapporti sessuali.

La terza sezione penale precisa, infatti, che "integra il reato di violenza sessuale di gruppo (articolo 609 octies c.p.) con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall'assunzione di bevande alcooliche".

I giudici soggiungono che l'aggressione all'altrui sfera sessuale è connotata da modalità insidiose e subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcool e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all'assunzione delle dette sostanze.

Cassazione: niente aggravante se la vittima di stupro si è ubriacata

Diversa è invece la conclusione quanto all'aggravante in parola. Per gli Ermellini, infatti, deve rilevarsi che l'assunzione volontaria dell'alcol esclude la sussistenza dell'aggravante ex art. 609-ter, comma 1, n. 2, c.p., norma che prevede l'uso di armi o di sostanze alcoliche narcotiche o stupefacenti, o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa.

Secondo i giudici "l'uso delle sostanze alcoliche deve essere, quindi, necessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l'alcol per la violenza, somministrandolo alla vittima". Invece, conclude la sentenza, l'uso volontario incide sì, come visto, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell'aggravante.

In altre parole, secondo quanto affermato dai giudici, il fatto che la vittima avesse assunto sostanze alcoliche in piena autonomia, non rende gli uomini che hanno abusato della sua situazione di estrema fragilità responsabili dell'aggravante, che è invece diretta a chi quella situazione di fragilità la produce.

Ciononostante, in molti hanno ritenuto che la decisione dei giudici, seppur strettamente aderente al dettato normativo di cui al codice penale, fatichi a interfacciarsi con la realtà dei contesti sociali, per nulla così netta, in cui operano gli abusi e, come già accaduto in passato, parrebbe colpevolizzare la vittima spostando l'attenzione su quest'ultima e "minimizzando" l'accaduto, anziché valorizzare l'antigiuridicità di quanto commesso dagli stupratori.

Come ha dichiarato la penalista Caterina Malavenda al Corriere della Sera: "Certo, ora la Corte di Appello dovrà rivalutare tutto e, in particolare, capire chi ha fatto bere la vittima e perché. Tu puoi bere senza rendertene conto se c'è qualcuno che ti riempie continuamente il bicchiere. Ma perché lo sta facendo?".

La deputata Annagrazia Calabria, leader di Forza Italia Giovani, ha invece dichiarato: "Far passare anche solo lontanamente l'idea che approfittare della mancanza di pieno autocontrollo da parte di una donna non sia un comportamento da punire in maniera ancora più dura è un passo indietro nella cultura del rispetto e nella punizione di un gesto ignobile e gravissimo quale è lo stupro" afferma invece la deputata e leader di Forza Italia Giovani Annagrazia Calabria.

Cass., III pen., sent. n. 32462/2018

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