di Lucia Izzo - Anche la compagna della madre biologica, a questa unita civilmente, deve essere considerata madre del bambino dalla sua nascita avendo non solo accettato e condiviso con la partner la scelta di ricorrere alla procreazione assistita (p.m.a.) ma anche per aver sempre esercitato, sotto ogni profilo, la responsabilità genitoriale nei confronti del piccolo.
In sostanza, è al superiore interesse del minore che deve guardare il giudice di fronte a una realtà sempre più complessa e in cui operano nuove modalità di procreazione. Pertanto, nulla osta alla "stepchild adoption" ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. 184/1983 da parte della donna che, nonostante non fosse un genitore biologico, sin dalla nascita del bambino, è sempre stata per lui un secondo genitore.
La Corte d'Appello di Napoli, nella sentenza n. 145/2018 (qui sotto allegata) ha così accolto, riformando la decisione del Tribunale, la richiesta di adozione avanzata da una donna, unita civilmente alla madre biologica del bambino, che era stato concepito ricorrendo alla procreazione assistita per decisione congiunta delle stesse "mamme".
A entrambe le donne, secondo i giudici partenopei, deve essere riconosciuta la qualità di madri poiché queste avevano, fin dalla nascita, condiviso la cura, il mantenimento e l'educazione del piccolo che in loro due identifica le sue figure genitoriali.
Infatti, si legge nel provvedimento, la partner della madre naturale è il legittimo secondo genitore del piccolo posto che "svolge tale ruolo da un momento precedente al concepimento, avendo contribuito alla sua generazione, non importa se solo con la prestazione del relativo consenso. Ella, ed è dato dirimente, se ne è assunta la responsabilità ab origine".
Madre non biologica è il secondo genitore
In una lunga e articolata motivazione, che ripercorre le recenti decisioni dei giudici italiani (da Milano, a Roma, passando per Torino e Firenze), il Collegio napoletano aderisce al nuovo orientamento che ritiene applicabile la disciplina dettata dall'art. 44, comma 1, lett. d), l. 184/1983 anche a coppie omosessuali, consentendo l'adozione del figlio biologico di un partner da parte dell'altro se legato da uno stabile vincolo affettivo al minore.
Nel caso di specie, la madre biologica ha espresso consenso all'adozione evidenziando come il bambino fosse di fatto figlio di entrambe che lo avevano desiderato e voluto dopo aver constatato la solidità del loro legame affettivo e il compimento di un progetto d'amore. Risultanze confermate dall'istruttoria espletata dai giudici.
Nell'accogliere la domanda, la Corte rammenta che "stella polare" del sistema resta sempre il superiore interesse del minore che, alla luce della normativa nazionale e internazionale in materia di adozione, si identifica con il diritto del piccolo a vivere in modo stabile in ambiente domestico armonioso e a essere educato e assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali.
Tale principio, si legge nel provvedimento, svolge una funzione integratrice, ma anche di adeguamento, conformazione e di correzione dello stesso principio di legalità e del concetto di ordine pubblico nella materia specifica.
Ed è alla luce di siffatto assunto che devono affrontarsi le nuove modalità di procreazione poiché la stessa determinazione del rapporto giuridico di filiazione è divenuta negli anni assai complessa, in seguito sia all'evoluzione scientifica-tecnologica che a quella dei costumi e della cultura (omogenitorialità e c.d. famiglie ricomposte).
Pertanto, conclude la Corte, la rigida applicazione delle disposizioni codicistiche sulla procreazione naturale anche a tali nuove modalità di procreazione è ormai, oltre che inadeguata, giuridicamente errata. Oggi, infatti, è possibile configurare una sorta di tripartizione tra genitorialità (o meglio, attribuzione dello status) da procreazione naturale, da p.m.a. e da adozione legale.
Pertanto, per giudici va riconosciuta la stepchild adoption del minore, concepito e nato in attuazione di un progetto d'amore, inserito in quella che considera ed è la sua famiglia e che risulta ben accudito dalle due donne che ne condividono, sotto ogni profilo, la responsabilità genitoriale.
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