di Lucia Izzo - Non spetta il risarcimento per la caduta in strada laddove si dimostra che la rottura del manto stradale fosse superficiale e quindi avvistabile e facilmente evitabile.
Deve, pertanto, escludersi ogni responsabilità in capo al Comune ove si sia trattato di una disattenzione del pedone durante la propria passeggiata in quanto il comportamento imprudente del danneggiato è idoneo a interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso se è connotato da esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, VI sezione civile, nell'ordinanza n. 17324/2018 (qui sotto allegata) nel respingere la richiesta di risarcimento avanzata da una donna nei confronti di un Comune siciliano per i danni patiti in conseguenza della caduta in una buca, non segnalata, esistente su una strada pubblica nel territorio del Comune stesso.
Riformando la decisione di prime cure, la Corte d'Appello aveva rigettato la domanga della signora. In particolare, i giudici a quo aveva osservato che sul luogo del sinistro non sussisteva alcuna insidia, posto che vi era solo una scarificazione dell'asfalto e non una buca, e che l'incidente era avvenuto alle ore 8 del mattino in condizioni di perfetta visibilità.
Pertanto, "la danneggiata era perfettamente consapevole, ovvero avrebbe potuto esserlo con l'ordinaria diligenza, delle condizioni difficoltose di percorrenza del tratto in oggetto", sicché era da ritenere che l'evento dannoso fosse stato determinato in via esclusiva dalla condotta della donna.
In Cassazione, la ricorrente lamenta una violazione dell'art. 2051 c.c. e delle regole sulla responsabilità del custode, posto che l'ente proprietario della strada avrebbe potuto liberarsi soltanto dimostrando il caso fortuito.
Caduta: niente risarcimento se il pedone poteva evitare la buca
Il motivo, tuttavia, si appalesa infondato secondo gli Ermellini che, all'uopo, richiamano le recenti ordinanze in materia di responsabilità civile derivante dall'obbligo di custodia (nn. 2480, 2481, 2482 e 2483 del 2018).
Tali provvedimenti hanno evidenziato che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227, primo comma, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione.
Ne consegue, spiega la Cassazione, che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Le menzionate pronunce hanno altresì chiarito che l'espressione "fatto colposo" che compare nell'art. 1227 cit. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
Infine, concludono i giudici, L'accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell'evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice di merito.
Nel caso in esame, con un giudizio di merito non più suscettibile di riesame in Cassazione, i giudici a quo hanno accertato proprio che il comportamento normalmente diligente da parte dell'infortunata avrebbe evitato il fatto dannoso, il che equivale a riconoscere, in sostanza, che non sussisteva il nesso di causalità tra l'anomalia presente sul manto stradale e la conseguente caduta della vittima.
In assenza di alcuna violazione di legge commessa dalla Corte di merito, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
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