Il Consiglio di Stato spiega perchè il Ministero dell'Interno può subire la condanna al pagamento delle retribuzioni perse
Avv. Francesco Pandolfi - In materia di armi, particolarmente quando si ha a che fare con la figura della guardia giurata, il Ministero dell'Interno dispone di un'ampia discrezionalità nel decidere le sorti della parte privata quando pende, ad esempio, un procedimento penale.

Attenzione però, in quanto non tutte le opzioni decisionali della Prefettura brillano sempre per coerenza ed ineccepibilità giuridica.

Si tratta di situazioni che vanno viste da vicino, una per una, in modo da procedere ad un esame al microscopio atto ad individuare le eventuali falle del provvedimento amministrativo.

I provvedimenti del Prefetto

In generale, fintantochè non si fa luce sugli esiti del sottostante procedimento penale che ha attinto la guardia giurata l'U.T.G., come si è visto in anticipo, ha largo spazio di manovra, potendo decidere per la sospensione del decreto di approvazione per guardia particolare giurata e della connessa licenza di porto d'armi.

Problemi non di poco conto, lo si intuisce: tutto questo pesa sul lavoro di quella persona.

Il ricorso di primo grado

Nel caso in cui il destinatario dei severi provvedimenti non sia d'accordo con la tesi amministrativa, deve organizzare tempestivamente un ricorso.

Non c'è altro da fare.

E' un pò quello che si è verificato in un caso concreto di un paio di anni fa, trattato e risolto dal Tar dopo che il Tribunale ha assolto il ricorrente per i fatti per i quali era stato rinviato a giudizio e che avevano innescato i provvedimenti cautelari prefettizi.

Come è accaduto in quel caso, in situazioni analoghe la Magistratura ritiene che la sospensione del porto d'armi e dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di guardia giurata (oltre al divieto di detenzione armi) sono illegittimi, in quanto privi di adeguata motivazione e adottati al termine di un'istruttoria carente a fronte dell'incidenza del provvedimento finale sull'attività lavorativa.

Soprattutto, dall'amministrazione ci si aspetta un'istruttoria precisa e meticolosa, tesa a vagliare ad esempio la credibilità della querela, anche per mezzo di riscontri con prove addotte dall'interessato.

Non dimentichiamo infatti che in gioco c'è l'affidabilità della persona, specie quando questa non è stata mai minata in passato.

Il ricorso di secondo grado

Quando in primo grado viene fuori la responsabilità dell'amministrazione, non c'è motivo per cui il Tar debba negare il risarcimento se questo è direttamente conseguenza di quell'accertamento.

Ecco perchè nel caso preso come spunto l'interessato effettivamente consegue il ristoro del danno sotto forma di mensilità lavorate e non pagate per effetto della sospensione (mancata percezione della retribuzione limitatamente a quel periodo di sospensione).

In pratica è quanto può verificarsi in casi analoghi se in giudizio si appura che la colpa ministeriale è conclamata.

Lo dice il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1520 del 20 marzo 2015.

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