Per la Consulta l'art. 106 del d.p.r. 115/2002 non limita il diritto di difesa ma evita di porre costi inutili a carico della collettività

di Valeria Zeppilli - In materia di gratuito patrocinio a spese dello Stato "è cruciale l'individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia": tanto si legge nella sentenza della Corte costituzionale numero 16/2018 del 30 gennaio (qui sotto allegata) che ha così ritenuto costituzionalmente legittimo il mancato pagamento del compenso all'avvocato se lo stesso deposita un ricorso inammissibile per una ragione che era prevedibile già prima del deposito.

L'articolo 106 d.p.r. n. 115/2002

Ad essere posto in discussione dinanzi alla Consulta è stato l'articolo 106 del d.p.r. numero 115/2002, nella parte in cui prevede che "il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili" senza fare alcuna distinzione in merito alla causa d'inammissibilità.

Stop alle impugnazioni superflue

Per la Corte costituzionale, tale norma si pone perfettamente in linea con l'intento di scoraggiare la proposizione di impugnazioni "del tutto superflue, meramente dilatorie o improduttive di effetti a favore della parte" e che con ampia prevedibilità o addirittura certezza condurranno verso un esito di inammissibilità.

Diritto di difesa salvo

Si tratta, insomma, di responsabilizzare gli avvocati e renderli ancor più cauti e vigili nel difendere una persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per evitare di porre a carico della collettività i costi di attività difensive superflue. La disposizione posta al vaglio della Consulta, in altre parole, "non limita irragionevolmente il diritto di difesa, ma sollecita una particolare attenzione in capo al difensore".

Corte costituzionale testo sentenza numero 16/2018
Valeria Zeppilli

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