Per la Suprema Corte il vincolo di destinazione della casa familiare non si estingue dopo la vendita e neppure dopo la morte dell'altro coniuge obbligato al mantenimento

di Lucia Izzo - Il terzo acquirente del bene immobile, assegnato in qualità di casa coniugale a uno dei coniugi, affidatario dei figli minori, non potrà ottenere il rilascio unicamente in ragione del decesso dell'altro coniuge obbligato al mantenimento, soprattutto se questi, al momento dell'acquisto era consapevole della destinazione a casa familiare del bene avvenuta tramite un atto trascritto.


In vincolo di destinazione è difatti collegato all'interesse e alla tutela della prole minorenne e si estingue solo laddove vengano meno i presupposti che hanno determinato l'assegnazione, ad esempio morte del beneficiario dell'assegnazione, compimento della maggiore età dei figli o il conseguimento da parte degli stessi dell'indipendenza economica, oppure per una delle cause di revoca previste dal codice civile.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell'ordinanza n. 772/2018 (qui sotto allegata).

La vicenda

Il ricorrente aveva convenuto innanzi al giudice, la ex moglie del di lui fratello, deceduto nelle more, per chiedere che la stessa rilasciasse l'appartamento (prima adibito a casa familiare) che le era stato assegnato a seguito della separazione, in qualità di genitore affidatario dei figli minorenni.


In epoca successiva al provvedimento presidenziale (immediatamente trascritto nei pubblici registri) di assegnazione, poi confermato in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'uomo era infatti divenuto proprietario esclusivo del bene pur consapevole del vincolo di destinazione a casa familiare.

L'azione di rilascio nei confronti dell'occupante, assegnataria con prole, era stata tuttavia promossa, sul presupposto che la donna dovesse abbandonare l'immobile essendo venuto meno, per effetto del decesso dell'ex divorziato, l'obbligo di mantenimento dei figli e del correlato diritto del coniuge affidatario all'assegnazione della casa coniugale.


A differenza del giudice di prime cure, la Corte d'Appello aveva respinto la domanda ritenendo che il decesso del coniuge obbligato non avesse alcun rilievo nei rapporti tra la donna e il fratello dell'ex coniuge, avendo il de cuius già da tempo ceduto la quota di sua spettanza dell'intero fabbricato, dopo il provvedimento di assegnazione, ed essendo il rapporto tra coniuge assegnatario e terzo acquirente (in epoca successiva all'assegnazione) disciplinato da norme poste a tutela dell'interesse superiore della prole.

Casa coniugale: il terzo acquirente deve rispettare il godimento, prevale l'interesse dei figli

Una decisione confermata in Cassazione ove i giudici rammentano come il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, dei quali va tutelato l'interesse a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, mantenendo consuetudini di vita e relazioni sociali.


In sentenza si legge come a seguito dell'intervenuto provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge, all'epoca separato, affidatario in esclusiva della prole, il terzo successivo acquirente è tenuto, negli stessi limiti di durata nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell'assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli.


Va escluso, chiarisce la Cassazione, qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento, atteso che, ogni forma di corrispettivo, verrebbe a snaturare la funzione stessa dell'istituto in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole e inciderebbe direttamente sull'asseto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio.


Pertanto, "il terzo successivo acquirente dell'immobile, già adibito a casa familiare prima della separazione, assegnato al coniuge affidatario della prole all'epoca minorenne, con provvedimento giudiziale, immediatamente trascritto nei pubblici registri, confermato in sede di sentenze di separazione personale e cessazione degli effetti civili del matrimonio, non può opporre, a sostegno della domanda di condanna al rilascio, il solo decesso dell'ex coniuge divorziato dante causa".

In sostanza, il diritto d'abitazione dell'assegnatario e affidatario della prole non può ritenersi venuto meno per effetto della morte dell'ex coniuge divorziato, trattandosi di un diritto personale di godimento sui generis che, in funzione del vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli, si estingue soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno determinato l'assegnazione (morte del beneficiario dell'assegnazione, compimento della maggiore età dei figli o il conseguimento da parte degli stessi dell'indipendenza economica, il trasferimento altrove della loro abitazione).

Oppure, precisa la sentenza, il diritto si estingue se vengono accertate le circostanze, oggi codificate nell'art. 337-sexies c.c., legittimanti una revoca giudiziale quali il passaggio a nuove nozze oppure la convivenza more uxorio del genitore assegnatario ovvero la mancata utilizzazione da parte dell'assegnatario, sempre previa valutazione dell'interesse prioritario dei figli.

Nella fattispecie, spiega la Corte, "l'assunto del ricorrente volto a correlare la permanenza del diritto di abitazione nella casa familiare in capo al coniuge affidatario (oggi collocatario) della prole, all'esistenza in vita dell'altro coniuge, il quale abbia, già da tempo, alienato l'immobile in oggetto, in quanto soggetto obbligato al mantenimento della prole, vanificherebbe la portata della opponibilità al terzo successivo acquirente del provvedimento di assegnazione della casa familiare per effetto della sua trascrizione"

Nel caso in esame neppure il "cognato" della signora ha prospettato il venir meno dei presupposti per la sussistenza del vincolo (in particolare la maggiore età dei figli o il conseguimento della indipendenza economica degli stessi) limitandosi a menzionare il decesso del fratello, coniuge obbligato. Il ricorso va dunque respinto.

Cass., I civ., ord. n. 772/2018

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