Le imposte successorie e il self-restraint del Giudice costituzionale sulla disciplina legislativa

Avv. Giampaolo Morini - Il riferimento costituzionale ai diritti dello Stato sulle eredità ricomprende entrambi i versanti classici della partecipazione pubblica al fenomeno successorio: quello della successione legittima ‘eventuale' [1]dello Stato, istituto largamente diffuso nell'esperienza giuridica comparata, e nella dottrina più risalente persino accostato al tema della sovranità statale[2]; e l'altro della fiscalità sul trasferimento ereditario, poi profondamente inciso dalla l. 18.10.2001, n. 383, segnalata dalla dottrina più autorevole tra i principi fondamentali dell'attività statale[3].

Queste due proiezioni della formula costituzionale richiamano, a loro volta, le finalità più generali dell'ordinamento italiano come sancite nella Carta Fondamentale. Sia i diritti dello Stato come successibile, che (in maniera più visibile) i meccanismi dell'imposizione successoria, si pongono come tecniche strumentali rispetto al disegno solidaristico e redistributivo che attraversa la nostra Costituzione, trovando nell'art. 3, 2° co., Cost. il suo polo di attrazione[4].

Lo Stato erede

Rimanendo sul tema dello "Stato erede", è stato sostenuto che la norma costituzionale implicherebbe una sorta di "garanzia di esistenza" della figura dello Stato legittimario , svolgendo in sostanza una funzione impeditiva rispetto ad un abbandono legislativo di questo modello. Al di là della fondatezza di questa ricostruzione, confrontata all'ampiezza di raggio di una categoria come quella dei "diritti dello Stato …", che non appare suscettibile di essere ‘schiacciata' sul solo schema della successione eventuale, è evidente invece, dalla prospettiva opposta, che l'espressione usata in questa disposizione ben potrebbe prestarsi a giustificare indirizzi legislativi tendenti a rinforzare le ipotesi e le condizioni della successione dello Stato.

In ipotesi di chiamata all'eredità

subordinata alla condizione dell'aggiunta del cognome del testatore al proprio entro un determinato termine dall'apertura della successione, con la previsione, per il caso di mancato avveramento della condizione, della devoluzione di tutto il patrimonio relitto allo Stato, qualora risulti l'intento del de cuius di affidare i propri scopi (connessi al verificarsi di detta condizione) ed il beneficio al primo chiamato alla mera discrezione della pubblica amministrazione, senza alcun obbligo a carico di quest'ultima di attivarsi per la realizzazione dell'evento dedotto in condizione, si configura la nullità della disposizione testamentaria, ove il testatore abbia in tal modo consapevolmente inteso rimettere all'arbitrio del secondo chiamato la designazione dell'erede (art. 631, comma 1, c.c.), ovvero la nullità - quanto al termine - della condizione perché illecita (art. 634 c.c.), ove il testatore abbia posto una condizione realizzante, nella sostanza, la fattispecie vietata di cui all'art. 631, comma 1, c.c. (Cass. civ., 29-03-1982, n. 1928)

Come è stato acutamente sottolineato, il raccordo tra la formula contenuta nel quarto comma dell'art. 42, il carattere oggettivo della proprietà trasmessa per via ereditaria[5], e il più generale contesto costituzionale (che vede insieme funzione sociale, accessibilità della proprietà, solidarietà ed eguaglianza redistributiva), apre un varco potenziale a soluzioni normative più favorevoli alla successione dello Stato, fondate ad esempio, la riduzione dell'area dei successibili ab intestato prima dello Stato, e sulla diversificazione delle imposte successorie a seconda della situazione economica dell'erede.

La Corte cost. (Ord.), 24-03-1988, n. 363 ha stabilito che La situazione dei fratelli del genitore naturale non è paragonabile a quella dei fratelli del genitore legittimo, in quanto, nonostante l'accertamento del rapporto di filiazione naturale, ai primi non compete giuridicamente - ex art. 258 cod. civ. - la qualità di zii. (Manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. e relativa all'art. 565 cod. civ., "nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, gli zii naturali riconosciuti o dichiarati del "de cuius").

La tutela garantita i figli naturali dall'art. 30, comma terzo, Cost., è circoscritta al rapporto con il genitore la cui paternità o maternità è stata riconosciuta o dichiarata, salvo riflettersi sui rapporti tra i più figli naturali del medesimo genitore, in guisa da qualificarli giuridicamente fratelli. L'ingresso del figlio naturale nella famiglia di origine del genitore, per effetto del riconoscimento, non è invece assicurato dalla suddetta norma costituzionale, costituendo, bensì, questione di politica legislativa rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore. (Manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata in riferimento all'art. 30, comma terzo, Cost. e relativa all'art. 565 cod. civ. "nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, gli zii naturali riconosciuti o dichiarati del "de cuius").

Peraltro in virtù della medesima sentenza è stato stabilito che, è manifestamente inammissibile, in quanto implica scelte discrezionali riservate al legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 c. c. (nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia), nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili e prima dello stato, gli zii naturali riconosciuti o dichiarati del de cuius, in riferimento agli art. 3 e 30, 3° comma, cost. L'interpretazione letterale dell'art. 586 c.c. sembra e indicare che la successione possa aprirsi in favore dello Stato solo in totale assenza di successibili ex lege e ex testamento, e che dunque lo Stato possa essere soltanto erede universale, ma non è così. Lo Stato, lo Stato può essere chiamato a subentrare nei beni residui[6].

Qualora venga meno la vocazione ereditaria di altri chiamati, per indegnità, invalidità del testamento, prescrizione del diritto di accettare l'eredità, rinunzia alla stessa quando però sia decorso il termine entro il quale è possibile la revoca della rinunzia (art. 525 c.c.) lo Stato può venire alla successione anche per delazione. In quest'ultimo caso, il chiamato rinunziante può sempre accettare l'eredità solo, però, «se non è già stata acquistata da altro dei chiamati»: la regola deve essere adattata alla particolare posizione dello Stato, perciò si è ritenuto che il chiamato rinunziante conservi il diritto di accettare l'eredità fino a quando lo Stato non la reclami in base alla prova dell'evidente probabilità di inesistenza di altri successibili, prova che normalmente si acquisisce dopo un certo lasso di tempo.

La mancanza di eredi successibili

È alla mancanza di eredi successibili il caso in cui il diritto di accettare l'eredità sia prescritto, C., 9.3.2006, n. 5082: Il curatore dell'eredità giacente, per ottenere la liquidazione del compenso per l'incarico espletato, deve proporre l'istanza nei confronti degli aventi diritto all'eredità, ovvero, ove i chiamati vi abbiano rinunciato, degli ulteriori successibili, oltre che degli eventuali creditori dell'eredità e dei soggetti comunque interessati a proporre azioni nei confronti dell'eredità medesima, instaurando nei loro riguardi il contraddittorio. In difetto, il procedimento di liquidazione è affetto da nullità, e non produce alcuna efficacia la pronuncia emessa dal giudice competente nei confronti dei contraddittori non sentiti. (Nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha cassato il decreto impugnato ritenendo sussistente la violazione del contraddittorio, poichè, pur risultando dagli atti del procedimento che gli eredi legittimi del "de cuius" avevano rinunciato all'eredità anteriormente alla proposizione del ricorso da parte del curatore dell'eredità giacente per la liquidazione delle sue competenze, il contraddittorio si sarebbe, comunque, dovuto instaurare nei riguardi sia degli eventuali chiamati in rappresentanza degli eredi legittimi rinuncianti, sia dello Stato, chiamato per delazione successiva anche in caso di rinuncia dei chiamati per delazione diretta, oltre che dei creditori, pur esistenti, dell'eredità e, comunque, nei confronti dei soggetti titolari di diritti che li avrebbero legittimati a proporre azioni contro l'eredità giacente).

Tale principio è applicabile anche nel caso in cui, decorso inutilmente il termine per accettare a seguito di delazione legittima, diventi operante dopo che il testamento che istituiva erede universale una erigenda fondazione sia diventato inefficace per la morte dell'esecutore testamentario incaricato di provvedervi, in tal senso T. Partanna, 14.6.2004: Qualora il testatore abbia nominato proprio erede universale un'erigenda fondazione, la disposizione testamentaria diviene inefficace se l'esecutore testamentario incaricato di provvedere all'istituzione della stessa muore prima di ottenere il riconoscimento giuridico dell'istituenda fondazione, poiché il suo decesso estingue il rapporto di mandato.

È invece nulla la disposizione testamentaria contenente unicamente la diseredazione di tutti gli eredi legittimi e senza che si disponga, ancorché implicitamente, del patrimonio ereditario. (A. Catania, 28.5.2003).

Se la mancanza di altri successibili è presupposto negativo della successione dello Stato, presupposto positivo è normalmente il rapporto di cittadinanza del defunto con lo Stato. L'art. 46, l. 31.5.1995, n. 218, di riforma del diritto internazionale privato, ha mantenuto fermo il principio tradizionale che sottopone l'intera vicenda successoria alla legge nazionale del de cuius al momento della morte, ma con una rilevante novità: la facoltà, riconosciuta al disponente, di sostituire il criterio di collegamento della cittadinanza con quello della residenza, mediante dichiarazione espressa in forma testamentaria. Sarà quindi sottoposta alla legge italiana la successione del cittadino che non sia avvalso della c.d. optio iuris, e quella dello straniero residente in Italia, che, invece, di quella facoltà si sia avvalso[7].

Giacenza dell'eredità

Dà però ingresso automaticamente alla successione dello Stato, che deve, tuttavia, fornire la prova della "mancanza di altri successibili", la mancanza di chiamati noti non: nell'attesa che si a fornita la prova dell'assenza di eredi, deve farsi luogo alla nomina di un curatore (art. 528 c.c.). Si ha giacenza dell'eredità anche nel caso di rinunzia del chiamato, poiché il rinunziante conserva il diritto di accettare l'eredità fino a quando lo Stato non la reclami in base all'evidente probabilità di inesistenza di altri successibili. Da osservare la distinzione tra eredità giacente, ovvero il caso in cui vi possa essere un chiamato che non è nel possesso dei beni ereditari e che non ha ancora accettato, e l'eredità vacante, che si ha quando mancano successibili legittimi o questi abbiano rinunziato o abbiano perso il diritto di accettare l'eredità[8]. La giurisprudenza, invero molto scarsa, è sostanzialmente allineata con l'orientamento della dottrina prevalente. La dichiarazione di giacenza dell'eredità deve essere revocata quando i chiamati all'eredità abbiano rinunciato e non vi siano altri successibili o vi sia incertezza assoluta sull'esistenza di essi:(P. Sestri Ponente, 11.10.1985: Ove successivamente all'apertura della successione i chiamati all'eredità rinuncino e non vi siano altri successibili legittimi e testamentari o vi sia assoluta incertezza sull'esistenza di essi, la dichiarazione di giacenza dell'eredità deve essere revocata e l'eredità va devoluta direttamente allo stato. Non deve farsi luogo alla giacenza dell'eredità se è assolutamente certo che non esistono eredi entro il sesto grado: è illegittimo il decreto di nomina di curatore dell'eredità giacente qualora risulti l'assenza (o l'assoluta incertezza sull'esistenza) di chiamati all'eredità, poiché in tal caso, l'eredità si devolve immediatamente allo stato (T. Reggio Emilia, 26.11.1987).

Acquisto dell'eredità

L'art. 586 c.c. stabilisce che l'acquisto opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia. L'acquisto da parte dello Stato, è quindi necessario e automatico da cui deriva la limitazione di responsabilità per i debiti ereditari, espressamente prevista dal secondo comma della norma per le stesse ragioni, non è applicabile l'art. 473 c.c., che, nel caso di eredità devoluta a persone giuridiche, prescrive l'accettazione con beneficio d'inventario.

Se il defunto non ha lasciato alcun successibile, lo Stato acquista immediatamente l'eredità, mentre nel caso in cui i successibili esistono, l'acquisto può avvenire solo quando i primi chiamati abbiano perso il diritto di accettare l'eredità per indegnità, per rinunzia o per prescrizione. In entrambi i casi, naturalmente, l'acquisto retroagisce al momento nel quale si è aperta la successione.

L'eredità va perciò devoluta direttamente allo Stato Quando all'atto di apertura della successione non vi siano successibili legittimi o testamentari (o tutti i chiamati rinuncino) ovvero vi sia assoluta incertezza sull'esistenza di chiamati, non si fa luogo ad eredità giacente, e l'eredità va devoluta direttamente allo stato (P. Genova, 26.5.1980).

Oggetto dell'acquisto

La successione dello Stato è a titolo derivato pe4r cui si deve ammettere che esso possa subentrare in tutti i diritti trasmissibili per causa di morte: è pertanto ammissibile il trasferimento allo Stato del diritto d'autore, nonché del diritto di accettare l'eredità che eventualmente si trovi nel patrimonio del de cuius, morto senza averla accettata (art. 479 c.c.) nel caso citato, tuttavia, l'acquisto dell'eredità devoluta al defunto seguirà le regole ordinarie, quindi, l'eredità dovrà essere accettata con beneficio d'inventario, e lo Stato potrà anche rinunziarvi, tuttavia, la rinunzia, concreterebbe i presupposti per l'applicazione dell'art. 586 c.c., con la conseguenza che l'eredità sarebbe ugualmente acquistata dallo Stato ipso iure. Non si trasmettono allo Stato, invece, i vantaggi derivanti da un'assicurazione sulla vita stipulata dal defunto a favore degli eredi, in quanto tale diritto si acquista da parte del terzo beneficiario in base al contratto di assicurazione e non fa parte dell'asse ereditario. Diversamente in caso di assicurazione sulla vita stipulata in proprio favore da una persona, la quale muoia dopo aver raggiunto il limite di età previsto dal contratto, ma prima di aver fatto valere il diritto al capitale assicurato: questo diritto, in quanto facente parte dell'eredità, si trasmette allo Stato.

La responsabilità intra vires hereditatis

In caso di acquisto da parte dello Stato dell'eredità vacante, l'art. 586, 2° co, c.c. dispone l'automatica attribuzione del beneficio della limitazione di responsabilità per i debiti ereditari entro i limiti del valore dei beni acquistati. In giurisprudenza si sono distinte le ipotesi in cui opera la limitazione della responsabilità da quelle in cui lo Stato risponde come un ordinario debitore. Entro i limiti del valore dell'eredità lo Stato risponde, ad esempio, delle spese di inventario, che l'art. 511 c.c. prevede essere a carico dell'eredità: In mancanza di testamento, le spese di inventario, che l'art. 511 c.c. prevede essere a carico dell'eredità, devono essere addebitate alle persone indicate dall'art. 565 c.c., sulla successione legittima, ed, in mancanza di altri successibili, allo Stato, nei limiti di cui all'art. 586 c.c. (C., 24.7.2000, n. 9648). Ma la limitazione riguarda soltanto i debiti ereditari, non già quelli che - come l'obbligo al pagamento delle spese processuali - derivano dal comportamento dello Stato che ha preferito resistere in giudizio anziché riconoscere le giuste pretese del creditore: La limitazione della responsabilità dello stato che assume la qualità di erede prevista dall'art. 586 c. c. riguarda i soli debiti ereditari, non già quelli, come l'obbligo derivante dalla condanna al pagamento delle spese processuali, che derivano dal comportamento dello stato che ha preferito resistere in giudizio anziché riconoscere le giuste pretese del creditore. (C., 14.6.1989, n. 2873). Lo Stato, inoltre, non si può sottrarre alle spese di manutenzione rese necessarie dal cattivo stato di conservazione dei beni di cui è diventato proprietario per successione: La limitazione all'attivo della responsabilità dello Stato disposta dall'art. 586 c.c. vale esclusivamente in relazione ai debiti ereditari pregressi, mentre non può valere a sottrarre lo Stato alle spese di manutenzione rese necessarie dal cattivo stato di conservazione di beni di cui è per successione divenuto proprietario (C. St., Sez. IV, 20.3.2000, n. 1472). La limitazione di responsabilità è dovuta alla mancata confusione del patrimonio del successore con quello del de cuius[9]. Deve escludersi l'applicabilità di tutte quelle norme la cui inosservanza comporterebbe la decadenza dal beneficio e l'assunzione di una responsabilità illimitata, come, ad esempio, quella che prescrive l'obbligatorietà della redazione dell'inventario così come è da escludersi che i creditori del defunto debbano ricorrere all'istituto della separazione dei beni, non essendo ipotizzabile la perdita, da parte dello Stato, del beneficio della responsabilità limitata. Lo Stato conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto (art. 490, 2° co., n. 1, c.c.); ed inoltre i creditori dell'eredità e i legatari abbiano preferenza sul patrimonio ereditario (art. 490, 2° co., n. 3, c.c.). Il fine della successione dello Stato è quello di impedire la vacanza dell'eredità e non quello di arricchire lo Stato o favorire i suoi debitori, perciò non c'è ragione che gli interessi degli aventi causa dal defunto siano sacrificati[10].

Lo Stato, nella sua qualità di erede, e in particolare di erede beneficiato ope legis, è tenuto ad osservare la procedura concorsuale di cui agli artt. 498 ss. c.c.[11], mentre l'applicabilità di essa è esclusa da chi nega che lo Stato possa essere considerato erede in senso tecnico.

La procedura concorsuale è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza, che ha fatto applicazione

La successione dello Stato nel diritto internazionale privato

Nella riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato l' art. 49, l. 31.5.1995, n. 218 ha previsto che: Quando la legge applicabile alla successione, in mancanza di successibili, non attribuisce la successione allo Stato, i beni ereditari esistenti in Italia sono devoluti allo Stato italiano».

La norma disciplina solamente il caso del c.d. "conflitto negativo", cioè risolve l'ipotesi in cui né uno Stato straniero, né lo Stato italiano avrebbero titolo ad entrare nel possesso dei beni sulla base della lex successionis: tale norma, dunque, si caratterizza non come una vera e propria norma di conflitto, ma introduce in sostanza una norma unilaterale e dunque dispone una disciplina materiale della fattispecie, indipendentemente dalla sua qualificazione. La riforma non fornisce invece alcuna specifica soluzione per i c.d. "conflitti positivi", quando cioè più Stati siano coinvolti nella vicenda successoria e avanzino tutti pretese sulla eredità vacante sulla base di un titolo della stessa natura o di natura diversa. L'art. 46, 1° co., l. 31.5.1995, n. 218 ripropone infatti il criterio di collegamento oggettivo proprio del previgente art. 23 disp. prel. ed individua la legge regolatrice delle successioni nella legge nazionale del de cuius al momento della morte; ma poiché nei diversi ordinamenti nazionali la devoluzione dei beni allo Stato avviene ora sulla base di un diritto privato di successione, ora come manifestazione della potestà d'imperio dello Stato, sono rimasti impregiudicati i problemi di qualificazione derivanti da tali divergenze. Deve escludersi il procedimento di qualificazione del rapporto operato esclusivamente sulla base della lex fori, in quanto ciò produrrebbe l'effetto distorto di far prevalere l'applicazione della legge del foro adito su quella individuata dalla norma di conflitto: infatti, se si fa dipendere la qualificazione dello Stato straniero come erede dalla legge italiana, ciò significa che la norma straniera richiamata, ove invece consideri la successione dello Stato come atto di sovranità, incorporandosi nel nostro ordinamento muta natura e assume il contenuto di una successione ereditaria a titolo privato. Si deve dunque ammettere che la qualificazione secondo la lex fori deve trovare riscontro in una conforme qualificazione secondo la lex causae; e quindi se dipende dalla lex fori la definizione della categoria in cui opera la norma di conflitto, dipenderà dalla lex causae stabilire se una determinata norma materiale, individuata in un concreto rapporto giuridico, sia di natura tale da rientrare in quella categoria divenendo oggetto del rinvio disposto dalla norma di conflitto.

Avv. Giampaolo Morini

giampaolo@studioleglemorinigiampaolo.it

0584361554

[1] Azzariti, Successione III) successione legittima, in EG, XXX, Roma, 1993, 11.

[2] Sulle diverse teorie giustificative della successione dello Stato, v. il classico lavoro di Persico, Il diritto dello Stato sulle successioni vacanti, in RDC, 1916, 322 ss..

[3] Micheli, Profili critici in tema di potestà d'imposizione, in RDF, 1964, I, 13-14.

[4] Quando l'A.C. non approvò la soppressione dell'ultima frase, si disse - da parte dell'on. Taviani: cit. in Falzone, Palermo, Cosentino, La Costituzione della Repubblica Italiana, Milano, 1976, 144 - che era stato accolto "il principio che la parte che lo Stato preleva sotto forma di imposta di successione ha uno scopo sociale oltre che fiscale".

[5] Che non è legata al lavoro e al risparmio di chi eredita: sul punto, v. le riflessioni di Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 9ª ed., Padova, 1976, 1121.

[6] Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, IV, 2, Le successioni a causa di morte, Torino, 1996, 228 ss..

[7] Clerici, Articoli 46-50, in Commento alla Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in RIPP, 1995, 1133 ss.; Deli, Artt.46-50, in Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Commentario a cura di Bariatti, in NLCC, 1996, I, 1278 ss.. Alla stessa disciplina è sottoposta la successione dell'apolide, domiciliato o residente in Italia (arg. art. 19, l. 31.5.1995, n. 218.

[8] Le successioni, II, Successioni legittime e necessarie, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di Cendon, Torino, 2000, 180.

[9] Carraro, La vocazione legittima alla successione, Padova, 1979, 214.

[10] Cattaneo, 504; Vassalli, 615; Platania, 182 ss..

[11] Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, 4ª ed., Milano, 2005, 722.


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