Per la valutazione, spiega la Cassazione, la provenienza della certificazione medica e l'asseverazione con giuramento non rappresentano requisiti necessari

di Lucia Izzo - In tema di risarcimento del danno biologico, il giudice non può omettere di esaminare e valutare le allegazioni documentali della parti soltanto perché provengono da medici privati, non asseverati da giuramento.


La provenienza della certificazione medica e l'asseverazione con giuramento, infatti, non rappresentano requisiti necessari affinché le allegazioni possano essere considerate quale elemento di prova documentale a sostegno dei fatti allegati che richiedano un accertamento e/o una valutazione di tipo tecnico-scientifico sul piano sanitario, potendo al più incidere sull'attendibilità del suo contenuto.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 27574/2017 (qui sotto allegata) accogliendo l'impugnazione dei genitori di un ragazzo che si era ferito durante l'orario scolastico, facendo scattare la richiesta di risarcimento danni nei confronti dell'Istituto.

La vicenda

A seguito dell'incidente avvenuto in orario scolastico, la coppia aveva avanzato domanda di risarcimento del danno biologico permanente (oltre che di un danno morale e di un danno da invalidità temporanea) occorso al ragazzo.


La domanda risarcitoria, tuttavia, veniva respinta in entrambi i gradi di giudizio, nonostante la coppia avesse fondato la richiesta su una serie di allegazioni probatorie e chiesto esplicitamente esperirsi sul punto una Consulenza Tecnica d'Ufficio.


In Cassazione, i genitori contestano la sentenza impugnata per non aver ammesso la richiesta CTU e per non aver motivato sul danno da invalidità temporanea e sul danno morale. In particolare, la Corte d'Appello non avrebbe affatto preso in esame le due relazioni mediche prodotte nelle quali si dava atto dei postumi permanenti residuati, sia estetici che funzionali, al ragazzo dopo l'incidente.


Ciò, secondo la difesa, era avvenuto sulla base di motivi del tutto incongrui e cioè la mancanza della asseverazione con giuramento di dette relazioni, redatte da medici "privati", e il fatto che una di esse fosse stata prodotta solo in copia fotostatica, pur in mancanza di contestazioni sulla sua conformità all'originale, ai sensi dell'art. 2719 del codice civile.


Decisione da cui era derivato il rigetto della domanda per difetto di prova del (solo) danno biologico permanente e l'omessa valutazione delle altre voci risarcitorie.

Il giudice deve esaminare anche certificati medici provenienti da strutture private

La Cassazione, quanto alla CTU richiesta dalle parti e non ammessa dal giudice a quo, condivide che sarebbe stata l'unico mezzo possibile per accertare e valutare il danno permanente specificamente allegato dagli attori e finanche da questi documentato con le relazioni mediche prodotte.


La Corte territoriale, invece, ha mancato di prendere in esame e di valutare gli elementi di prova documentale forniti a sostegno di tali allegazioni, ritenendo che ciò fosse in radice impedito dal fatto che le predette relazioni non erano asseverate con giuramento, erano redatte da medici "privati" e una di esse era stata prodotta solo in copia fotostatica.


Ma è evidente, sottolinea la Cassazione, che tanto la provenienza della certificazione medica da una struttura pubblica, quanto la sua asseverazione con giuramento, non costituiscono requisiti necessari perché essa possa essere presa in considerazione quale elemento di prova documentale a sostegno dei fatti allegati che richiedano un accertamento e/o una valutazione di tipo tecnico-scientifico sul piano sanitario, potendo al più incidere sull'attendibilità del suo contenuto.


Inoltre, quanto alla produzione del documento in copia fotostatica, in mancanza di specifiche contestazioni ai sensi dell'art. 2719 c.c. (che nella specie non risultano avanzate), ha la stessa valenza probatoria dell'originale.


Di conseguenza, i giudici di merito non avrebbero potuto del tutto omettere di prendere in esame i documenti prodotti dagli attori (come invece hanno fatto), ma avrebbero al più potuto valutare negativamente la loro efficacia probatoria, all'esito del loro esame.


In tale ultimo caso, poi, trattandosi di una situazione in cui l'unico mezzo per accertare e valutare i fatti allegati era effettivamente la consulenza tecnica di ufficio (peraltro espressamente richiesta), avrebbero dovuto certamente disporla, e non avrebbero potuto rigettare la domanda sulla base della constatazione del difetto di prova del danno permanente, perché in tal modo è stata effettivamente preclusa agli attori la possibilità di assolvere il relativo onere probatorio su di essi gravante.


Infine, concludono gli Ermellini cassando la sentenza con rinvio, il provvedimento impugnato ha anche mancato di prendere in considerazione la richiesta di risarcimento delle altre voci di danno richieste dalle parti.

Cass., III civ., ord. 27574/2017

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