Quando il lavoratore dell'appaltatore può agire nei confronti del committente principale

di Simone Marian - In tema di appalto il legislatore è intervenuto recentemente apportando delle modifiche piuttosto rilevanti in tema di solidarietà tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori rispetto ai crediti vantati dai lavoratori subordinati.

Prima di esporre tali modifiche è bene ricordare cosa si intenda per appalto.

La definizione di appalto

Secondo l'art. 1655 c.c. "L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso il corrispettivo in danaro".

Il contratto di appalto viene spesso avvicinato ai contratti d'opera, di compravendita, di trasporto, ecc. ed è bene quindi esaminare anzitutto l'accordo delle parti per poter affermare con certezza che si sia in presenza di un appalto, con tutte le relative conseguenze che si andranno ad esporre.

Giova altresì ricordare come non sia sufficiente l'indicazione di "contratto

di appalto" nel titolo/intestazione dell'accordo, perché è compito dell'interprete valutare la realtà volontà delle parti di accedere al contratto di appalto piuttosto che ad un altro contratto tipico o atipico, a prescindere dal mero "nomen" del contratto in questione.

Per brevità, senza riportare la copiosa giurisprudenza in materia, ma volendo fornire almeno un primo riferimento generale, si può affermare che l'elemento distintivo dell'appalto

è dato dalla circostanza che si preveda una organizzazione dei mezzi (a differenza del contratto d'opera dove è prevista una struttura più snella e l'intervento del solo prestatore) e la realizzazione di una opera o servizio particolare e specifico (a differenza della compravendita dove l'oggetto del contratto è prevalentemente la consegna di un bene tendenzialmente già esistente o prodotto in serie).

Le novità legislative sulla solidarietà negli appalti

Come accennato, il legislatore è recentemente intervenuto sul tema della solidarietà con il Decreto Legge n. 25 del 17.03.2017 (convertito con Legge n. 49 del 20.04.2017), entrato in vigore in pari data, con il quale è stato modificato l'art. 29 comma 2 del D.Lgs. 276/2003 che ora così dispone:

In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento e' tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d'imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.

La solidarietà tra committente imprenditore e datore di lavoro e appaltatore si esprime dunque nella possibilità per il lavoratore dell'appaltatore (o di uno dei subappaltatori) di agire verso uno dei soggetti della catena (subappaltatore o committente) per richiedere le sue spettanze (stipendi e contributi) relativi al periodo di vigenza dell'appalto, col limite temporale dei due anni dalla conclusione dell'appalto stesso.

La riforma sopra ricordata prevede, tuttavia, che non sia possibile più alcun diverso accordo a livello di contrattazione collettiva nazionale, ma soprattutto propone l'eliminazione del c.d. beneficio di preventiva escussione.

Se dunque fino a prima dell'ultima riforma il lavoratore che agiva direttamente contro il committente per vedersi riconosciuti stipendi e contributi relativi al periodo di vigenza dell'appalto poteva vedersi eccepita la mancata preventiva escussione dell'appaltatore (vale a dire il mancato tentativo, giudiziale ed esecutivo, di recuperare il credito), oggi il lavoratore può agire direttamente contro il committente.

In particolare, nell'eventuale giudizio intentato dal lavoratore, convenuto sarà il solo committente, il quale potrà sì chiamare in causa il vero responsabile dell'inadempimento, ma trattandosi di c.d. litisconsorzio facoltativo, l'ammissione della chiamata in causa è rimessa alla discrezionalità del Giudice che potrà anche rifiutare di allargare il contraddittorio all'appaltatore inadempiente.

Il committente convenuto in giudizio, peraltro, dovrà anche pagare le spese legali del dipendente "altrui" vittorioso.

Rimane ovviamente in capo al committente la possibilità di ricorrere all'azione di regresso per recuperare dall'appaltatore inadempiente quanto pagato al lavoratore (con il dubbio che tale azione comprenda anche le suddette spese legali).

Secondo diversi osservatori tale riforma comporta la deresponsabilizzazione del debitore principale inadempiente, posto che il lavoratore sceglierà sicuramente la società più solida, evitando di agire presso il proprio datore di lavoro se riconosciuto come poco capiente.

Onde mitigare gli effetti di una simile riforma, nel senso di evitare azioni dei dipendenti dell'appaltatore, occorre immaginare di inserire a livello contrattuale delle apposite clausole.

Si deve quindi pensare all'introduzione di eventuali garanzie fideiussorie o all'accantonamento di una quota del corrispettivo ovvero si potrebbe subordinare il pagamento alla prova dell'avvenuto pagamento, con tutte le difficoltà probatorie e operative del caso, ovvero ancora immaginare di prevedere a livello contrattuale l'impegno dell'appaltatore ad intervenire (con un atto di intervento volontario) nell'eventuale giudizio intentato dal proprio dipendente nei confronti dell'appaltatore.


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