Per la Cassazione, il divieto d'uso diverso da civile abitazione non si estende alla locazione stagionale

Avv. Paolo Accoti - Nel divieto contemplato dal regolamento condominiale, con il quale si vieta di destinare i locali di proprietà dei singoli condòmini ad uso diverso da quello abitativo ovvero di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo - a prescindere dalla legittimità o meno dell'anzidetto divieto -, non rientra anche l'impedimento alla locazione per brevi periodi o l'affitto saltuario.

Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22711, pubblicata in data 28 settembre 2017 (sotto allegata).

La vicenda

A seguito dell'annullamento della norma regolamentare che stabiliva il divieto di adibire gli appartamenti di proprietà dei condòmini ad uso diverso da quello abitativo e di utilizzarli per l'attività di pensione o albergo, disposto in una precedente sentenza, i condòmini proprietari degli immobili interessati a tale divieto convenivano in giudizio il condominio per ottenere il risarcimento dei danni cagionati da detto illegittimo divieto.

Si costituiva in giudizio il condominio eccependo come la disposizione regolamentare comunque non vietava la locazione ad uso transitorio stagionale, la quale avrebbe consentito ai condòmini di trarre dai loro immobili le utilità reclamate e, quindi, di evitare il danno.

In ogni caso, deduceva il condominio, gli attori non dimostravano il possesso della necessaria autorizzazione all'esercizio dell'attività alberghiera.

Il Tribunale prima, e la Corte d'Appello di Messina poi, rigettavano la domanda, condannando i condòmini al pagamento delle spese processuali.

Le corti territoriali evidenziavano che il divieto riguardava esclusivamente l'affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo e che, pertanto, rimanevano consentite le ulteriori utilizzazioni, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi.

Che tale forma di locazione, peraltro, era quella consueta per gli immobili degli attori, così come era emerso dall'espletata istruttoria.

Il divieto di uso diverso da civile abitazione non si estende alla locazione stagionale

A seguito del ricorso per cassazione proposto dai medesimi condòmini, la Suprema Corte nel rigettare il ricorso, affermava che <<l'interpretazione del giudicato è congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata - pretermesso nell'esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata (fol. 5) - che faceva divieto di «destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell'immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo», con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorché fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all'uso non abitativo in generale. Sicché la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell'immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall'esercizio della preclusa attività alberghiera>>.

Pertanto, dal tenore letterale della norma regolamentare, ancorché illegittima, alcun danno sarebbe potuto derivare ai ricorrenti i quali, a prescindere dalla circostanza per cui non risultassero titolari di licenza alberghiera, potevano in ogni caso sfruttare economicamente gli immobili mediante la locazione stagionale che il regolamento condominiale non vietava.

Ciò posto, considerata la soccombenza nel giudizio di legittimità, i ricorrenti devono essere anche condannati al rimborso delle spese processuali in favore del condominio.

Per completezza è appena il caso di aggiungere come solo il regolamento contrattuale, vale a dire quello predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario, o quello assembleare ma, tuttavia, deliberato da tutti i partecipanti al condominio, può imporre delle limitazioni alla proprietà privata dei singoli condòmini.

Che, peraltro, ai fini dell'opponibilità del regolamento ai terzi acquirenti, nell'attesa di un intervento chiarificatore delle sezioni unite, ad oggi, si contrappongono diversi orientamenti: a) per parte della giurisprudenza, che si ritiene maggioritaria, il riferimento nell'atto d'acquisto dell'immobile del regolamento, purché enunciato in modo chiaro ed esplicito, vincola contrattualmente l'acquirente e il venditore, giacché la sola menzione ne presuppone la conoscenza e l'accettazione (Cass. 17886/2009; Cass. 10523/2003; Cass. 395/1993; Cass. 4905/1990. Da ultimo: Cass. 19212/2016 e Cass. 22310/2016); b) un'altra corrente di pensiero ritiene che le clausole che impongono il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, devono essere approvate all'unanimità e per avere efficacia devono essere trascritte nei registri immobiliari oppure essere menzionate ed accettate espressamente nei singoli atti d'acquisto (Cass. 6100/93; Cass. 7396/2012: <<non bastando il mero richiamo delle stesse nella nota di trascrizione dall'atto di acquisto>>); c) infine, una giurisprudenza intermedia che ritiene, a seconda della tipologia di clausole, che solo per quelle impositive di una servitù o di un peso ovvero che prescrivano prestazioni positive a carico di alcuni condòmini in favore di altri o di soggetti diversi o, ancora, che pongano limiti il godimento o l'esercizio dei diritti del proprietario dell'unità immobiliare, sia necessaria la trascrizione nei registri immobiliari (Cass. 3749/99; Cass. n. 11684/02; Cass. 14898/13; Cass. n. 17493/14. Da ultimo: 20124/2016).


Cass. civ., 28.09.2017, n. 22711
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