di Valeria Zeppilli - A seguito della riforma Gelli di cui alla legge numero 24/2017 non ci sono più dubbi: il medico che opera all'interno di una struttura sanitaria può essere chiamato a rispondere del proprio operato nei confronti del paziente solo a titolo extracontrattuale, mentre la responsabilità contrattuale resta esclusivamente per la struttura stessa e per il sanitario che ha assunto un'obbligazione diretta con il paziente.
Sino alla recente riforma, la questione era tutt'altro che pacifica e, così, il legislatore ha deciso di intervenire a fugare ogni dubbio al riguardo, con un'impostazione che si pone l'obiettivo di contrastare la medicina difensiva, ponendo al tempo stesso numerose garanzie per i pazienti, specie nei confronti delle strutture sanitarie.
L'onere della prova
L'inquadramento della responsabilità del sanitario nell'ambito della responsabilità aquiliana di cui all'articolo 2043 del codice civile comporta, infatti, una conseguenza di non poco conto, relativa alla ripartizione dell'onere della prova.
Il soggetto che intende agire in giudizio nei confronti del medico ospedaliero per ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza dell'intervento o del trattamento al quale si è sottoposto dovrà provare:
- la condotta colposa del medico,
- la lesione subita,
- il nesso di causalità tra la condotta colposa e la lesione.
Il paziente che si rivolge alla struttura, invece, deve provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della sua situazione patologica (o l'insorgenza di una nuova patologia) e la condotta o l'omissione dei sanitari. Data questa prova, è la struttura sanitaria che deve dimostrare che l'inesatta esecuzione della prestazione sia derivata da una causa imprevedibile e inevitabile.
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