Per il Tribunale di Como è un accordo incompatibile con i principi che ispirano la normativa in materia familiare

di Lucia Izzo - Niente omologazione dell'accordo di separazione per due coniugi che vogliono continuare a coabitare nella casa familiare per ragioni di convenienza economica. Tanto emerge dall'ordinanza (qui sotto allegata), depositata il 6 giugno 2017 dal Tribunale di Como, pronunciatosi sulle condizioni di separazione di una coppia, incentrate in particolare sulla gestione dell'habitat familiare.

Separazione: l'accordo dei coniugi

Il Tribunale rammenta che l'accordo dei coniugi è elemento fondante delle condizioni di separazione, avente natura negoziale, e il decreto di omologa ha lo scopo di controllarne la compatibilità rispetto alle norme cogenti e ai principi di ordine pubblico, nonché, in presenza di figli minori, ovvero maggiorenni non autosufficienti economicamente, di compiere una pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative ad affidamento e mantenimento allo interesse degli stessi (cfr. Cass. 9287/97, 2602/13).


Tanto premesso, nel caso di specie l'accordo delle parti non può essere omologato a causa delle condizioni relative alla gestione della casa familiare, in particolare laddove si stabilisce che i coniugi continuino a convivere a tempo indeterminato "separati in casa" sino a quando le condizioni economiche familiari non consentiranno di reperire una diversa soluzione abitativa.


In realtà, gli stessi coniugi hanno ammesso di vivere da anni "separati in casa" senza intenzione di allontanarsi dalla casa familiare di comproprietà, frutto di tanti sacrifici, dove dispongono ciascuno di una camera da letto personale e usano a turno gli altri locali.

Niente omologa per l'accordo dei coniugi "separati in casa"

Tuttavia, secondo i giudici, le finalità solidaristiche precisate dall'avvocato dei ricorrenti nel giustificare tale situazione (preservare le risorse economiche familiari, agevolare gli studi del figlio e garantire alla moglie eventuale assistenza personale a causa di non precisati problemi di salute), potrebbero benissimo essere perseguite anche da "separati".


Fermo restando, spiega il Tribunale, che sul piano personale le parti hanno facoltà di comportarsi e autodeterminarsi come meglio credono, la loro volontà, anche nella sfera personale e familiare, non può però scegliere la forma da dare al proprio stile di vita al punto da piegare gli istituti giuridici sino a dare riconoscimento e tutela a situazioni le quali, non solo, non sono previste dallo ordinamento, ma si pongono altresì in contrasto con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.


In altre parole, l'ordinamento non può dare riconoscimento, con le relative conseguenze di legge, a soluzioni "ibride" che contemplino il venir meno tra i coniugi di gran parte dei doveri derivanti dal matrimonio, pur nella persistenza della coabitazione, la quale, ex art. 143 c.c., costituisce anch'essa uno di questi doveri e rappresenta la "cornice" in cui si inseriscono i vari aspetti e modi di essere della vita coniugale. 


Nonostante in costanza di matrimonio tale dovere possa essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, sì da non escludere la comunione di vita interpersonale, ciò non autorizza ad affermare la validità di un accordo (con le conseguenze di legge della separazione) volto a preservare e legittimare la mera coabitazione una volta che sia cessata la comunione materiale e spirituale tra le parti.

L'intollerabilità della convivenza

L'istituto della separazione, infatti, trova giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fattore tipicamente individuale, riferibile alla personale sensibilità e formazione culturale dei coniugi, purché però oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile.


Nel caso di specie non può "oggettivamente" apprezzarsi la condizione di intollerabilità della convivenza laddove gli stessi coniugi progettino di prorogarla a tempo indeterminato per ragioni di convenienze varie, atteso il contrasto con il dato di realtà reso evidente dalla persistente, collaudata, e "tollerata" convivenza.


Non può accogliersi, dunque, la pretesa di attribuire, con il provvedimento di omologa, riconoscimento giuridico, con i conseguenti effetti tipici della separazione coniugale, a un accordo privatistico che regolamenti la condizione di "separati in casa". Diversamente opinando, l'istituto della separazione consensuale, se del tutto svincolato da riferimenti oggettivi, si presterebbe fin troppo facilmente a operazioni elusive o accordi simulatori, per finalità anche illecite.

Tribunale di Como, ord. 6/6/2017

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