Il termine per usucapire non si esaurisce ma viene "ereditato" dai successori per maturare l'acquisto della proprietà

Il possesso si trasferisce agli eredi

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Il possesso dell'immobile tenuto da una persona in vita si trasferisce agli eredi alla sua morte. Ciò significa che, se questi possedeva un immobile altrui, un eventuale termine per l'usucapione non si interrompe, ma si trasmette ai successori che potranno rivendicare la proprietà sommandovi il proprio tempo di possesso.

Successione nel possesso

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L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà che si realizza a seguito del possesso continuo e ininterrotto del bene per un certo periodo di tempo stabilito dalla legge (per approfondimenti Usucapione - guida legale).


Ma cosa accade se una persona che ha posseduto in vita un immobile altrui per un certo tempo, non ancora necessario affinché si verifichi l'usucapione, muore prima del configurarsi di tale termine?

La risposta giunge dall'art. 1146 del codice civile, il quale afferma al primo comma che"Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione".

Per effetto di una "fictio iuris", pertanto, il possesso del "de cuius" si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi.

Il principio della continuità nel possesso tra il "de cuius" e l'erede consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie (Cass., sent. n. 6852/2001).

La successione nel possesso comporta dunque che questo continui in capo a un diverso soggetto, con le caratteristiche originarie, determinando la formazione di un unico e ininterrotto possesso anche se a un soggetto ne subentrino una pluralità.

Ciò significa che il possesso, in base a quello del de cuius, continuerà nei successori in buona o mala fede, con o senza vizi, producendo effetti a suo favore o a suo carico.

In ragione del principio "malafides superveniens non nocet", infatti, se il possesso del de cuius era in buona fede, si presume esserlo anche quello degli eredi, anche se quest'ultimo conosceva la lesione del diritto altrui, in quanto la malafede sopravvenuta non conta essendosi il possesso originario incardinato in capo al defunto. Viceversa, in caso di possesso iniziato in mala fede, tale rimarrà anche nei confronti dell'erede nonostante la sua eventuale ignoranza sul tema.

Possesso: il termine si somma a quelli degli eredi per l'usucapione

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Poichè chi succede "eredita" anche il possesso del dante causa, potrà continuare sulla stessa strada affinché maturi il termine per usucapire. Infatti, il periodo di tempo già cumulato dal de cuius non si interrompe, ma si somma a quello dell'erede.


Ad esempio, il possesso del genitore protrattosi ininterrottamente per un tempo ancora non necessario affinché si realizzi l'usucapione, ad esempio 15 anni in luogo dei 20 normalmente richiesti per l'usucapione di un fondo o di un immobile, non va perduto, ma prosegue in capo ai suoi figli, sempre che l'attività di costoro prosegua nel rispetto dei criteri previsti dalla legge.


Ciò significa che, nel nostro esempio, saranno sufficienti solo altri 5 anni per poter rivendicare l'usucapione del bene: in pratica, gli eredi potranno di fatto ottenere la proprietà dell'immobile senza necessità del consenso del precedente proprietario e in mancanza di alcun contratto con questi, chiedendo al giudice di accertare la sussistenza di tutti i requisiti all'uopo necessari.


Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che anche laddove il bene sia formalmente detenuto da un solo erede, gli altri coeredi non sono esclusi dal possesso: ciò significa che il singolo erede detentore non potrà usucapirne la proprietà, senza interversione del possesso o senza un atto che manifesti lo spoglio nei confronti degli altri eredi affinché il possesso diventi esclusivo (Corte d'Appello di Firenze, sent. 859/11).


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