La Cassazione conferma la condanna nei confronti della donna che con le sue condotte aveva provocato ansia nell'ex e consorte

di Lucia Izzo - Rischia una condanna per stalking per la donna che molesti l'ex e sua moglie attraverso messaggi e mail ingenerando nei soggetti uno stato d'ansia.


Tanto ha deciso la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 17793/2017 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso avanzato da una donna, ritenuta colpevole in sede di merito per stalking.


Questa, infatti, aveva molestato e minacciato in più occasioni l'ex con il quale molti anni prima aveva intrattenuto una relazione sentimentale. Dopo averlo contattato presso l'utenza telefonica fissa che la parte offesa aveva dovuto cambiare, aveva iniziato a inviargli delle e-mail, prima direttamente e poi tramite un conoscente comune, provocando nel medesimo e nella moglie un particolare stato d'ansia, anche in considerazione del fatto che sempre in anni risalenti l'imputata aveva causato alla moglie della vittima lesioni gravissime per le quali aveva già patito una condanna.


Il compendio probatorio si era fondato sulle dichiarazioni della persona offesa e sulle mail ricevute, contatti ripetuti che l'imputata non aveva negato attribuendoli, tuttavia, a un debito che l'uomo avrebbe contratto nei suoi confronti di cui la Corte territoriale non ritiene sia stata fornita alcuna prova. 


Condannata in sede di merito, l'imputata propone ricorso in Cassazione contestando la sussistenza dell'elemento materiale e dell'elemento soggettivo del delitto contestatole, ritenendo che la Corte non avesse motivato sulle sue condizioni mentali all'epoca della commissione dei fatti, stante la patologia da cui era affetta (morbo di Alzheimer), da cui la sua totale incapacità di intendere e di volere.


Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso va rigettato. Premesso che in sede di legittimità non è possibile una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la corte territoriale ha valutato l'attendibilità della persona offesa, il fatto che le condotte riferite non fossero state negate dall'imputata e l'insussistenza di ogni riscontro scritto o orale sulla paventata esistenza di un credito.


Ancora, la perizia d'ufficio aveva mostrato che la ricorrente si era resa conto delle condotte materialmente consumate e aveva anche inteso ricondurle a una ragione che le consentisse di giustificarle in modo diverso da quanto contestatole, rendendosi dunque pienamente consapevole di recare molestia e disturbo all'uomo agendo proprio in vista di tale risultato. 


Correttamente è stata riconosciuta anche la recidiva a carico dell'imputata, anche in considerazione della circostanza che la donna aveva reiterato condotte del tutto analoghe a quelle per cui aveva patito la precedente condanna, dimostrando una rinnovata pericolosità dell'agente. 

Cass., V sez. pen., sent. n. 17793/2017

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: