di Corrado Maria Petrucci - L'articolo 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 7756 del 27/03/2017 (qui sotto allegata), in una vicenda che vedeva i condomini di un complesso edilizio trascinare in giudizio la società venditrice e quella che su incarico della prima aveva realizzato sull'immobile interventi di ristrutturazione.
Vediamo quali sono stati i passaggi logico-giuridici e di ragionamento che hanno portato la Corte a pronunciarsi secondo questo orientamento. Si ravvisano, sostanzialmente, due orientamenti discordanti in dottrina riguardo l'applicazione del 1669 c.c. Un primo, seppur minoritario orientamento, interpreta in modo restrittivo la norma prevedendone l'applicazione solo nel caso in cui i gravi difetti e gli evidenti pericoli di rovina vertano esclusivamente su una nuova costruzione. Un secondo orientamento, nettamente prevalente, il quale utilizza una interpretazione estensiva dello stesso articolo, stabilisce la possibilità di applicare l'art. 1669 c.c. anche nel caso di interventi manutentivi e di ristrutturazione di lunga durata nel tempo che vadano a compromettere un edificio preesistente e il godimento dello stesso secondo la sua destinazione. In particolare gli interventi di manutenzione e ristrutturazione di cui si parla possono essere sia quelli che comporteranno il collasso della struttura o parte di essa, sia danni e rovine distinguibili in modo circostanziato e definito sull'opera di intervento stessa. Non è la prima volta che la Cassazione si occupa degli ambiti di applicabilità di questo articolo. In particolare si profilano due orientamenti della Corte emergenti da due specifiche sentenze. Nella sentenza 24143/07 il giudice di legittimità si è dovuto pronunciare su un caso riguardante l'impermeabilizzazione e pavimentazione di un terrazzo condominiale. In questo primo caso caso gli Ermellini, con una interpretazione letterale della norma stessa, raccordavano il termine "edifici o altre cose immobili, destinati per loro natura a lunga durata" a "opera" per poi connettere e disciplinare le conseguenze dei vizi di costruzione della stessa opera costruita ex novo. Seguendo questo ragionamento è possibile concludere come la stessa costruzione "da zero" di un nuovo edificio o altra cosa immobile rappresenti il limite e il confine dell'ambito di applicazione della responsabilità prevista dal 1669 c.c. e veda la possibilità di esclusiva e limitata applicazione del regime delle garanzie di cui all'art. 1667 c.c.
Una successiva sentenza, di segno certamente opposto, ci restituisce una interpretazione estensiva e quindi più ampia della stessa regola. In particolare la sentenza 22553/15 legittima pienamente l'applicazione del 1669 c.c. anche nei confronti di chi esegue lavori di manutenzione e ristrutturazione allorché gli stessi incidano su elementi secondari comunque rilevanti per la funzionalità del bene stesso.
Ragionando ora sulla sentenza di cui al titolo, il cambiamento di rotta operato dalla Cassazione si giustifica in quanto la stessa Corte ammette di trovarsi in una situazione caratterizzata non già da un conflitto strettamente giurisprudenziale e di dottrina ma da una vera e propria "emergenza fattuale diversa".
In particolare il ragionamento che ha portato la Corte a mutare radicalmente il proprio orientamento parte dalla discriminazione che il legislatore fa tra "opera" ed "edificio o altra cosa immobile destinata a lunga durata" facendo notare che con il termine proprio di "opera" sarebbe possibile indicare non già ed esclusivamente un edificio o una cosa immobile destinata a lunga durata costruita a partire da zero, ma può estendersi ad ogni intervento, modificativo o riparatorio, eseguito successivamente alla costruzione dello stesso edificio.
Anche il termine "compimento", al fine della determinazione temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto non esclusivamente l'edificio ma anche l'insieme delle opere eventualmente eseguite in un secondo momento.
Sintetizzando, la Cassazione in questo caso ha voluto spostare il baricentro, il "focus" dal momento fondativo dell'opera per direzionarlo, in modo del tutto nuovo, sui difetti che questa può eventualmente presentare a seguito di interventi successivi alla edificazione stessa dell'edificio.
Cassazione, sentenza n. 7756/2017
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