Per la Cassazione se la famiglia è a conoscenza dell'impianto di sorveglianza installato in casa manca il fumus del reato

di Lucia Izzo - Se l'impianto di videosorveglianza installato in casa era conosciuto da tutti i membri della famiglia, vacillano le motivazioni poste alla base dell'accusa di "interferenze illecite nella vita privata" che hanno giustificato il sequestro delle registrazioni.


Tanto emerge dalla sentenza della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, n. 14253/2017 (qui sotto allegata). Vacillano le motivazioni sottese al sequestro probatorio disposto dal P.M. di un dvd contenente registrazioni interne ed esterne dell'abitazione familiare. È la moglie ad accusare il marito di "maltrattamenti in famiglia" e "interferenze illecite nella vita privata", soprattutto a causa dell'impianto di videosorveglianza.


Tuttavia, in Cassazione la difesa dell'uomo evidenzia che dalle dichiarazioni rese dal figlio dell'indagato, oltre che dalla stessa moglie denunciante, e dall'attestazione resa dal Comandante della Stazione dei Carabinieri si evince che l'esistenza del sistema di videosorveglianza, installato da due anni, era conosciuto a tutti gli abitanti dell'abitazione, mancando quindi la prova della violazione della privacy.


Accogliendo il ricorso, gli Ermellini rammentano che in sede di riesame avverso un decreto di sequestro probatorio il giudice deve vagliare il fumus dei reati in relazione ai quali il sequestro è stato disposto, dovendosi quindi verificare la pertinenza della misura ai fini dell'accertamento dei fatti, secondo quanto previsto dall'art. 253 del codice di procedura penale.


Come già affermato dalla giurisprudernza, "in sede di riesame del sequestro

probatorio, il tribunale deve stabilire l'astratta configurabilità del reato ipotizzato"; tale "astrattezza", però, non va a limitare i poteri del giudici che deve esclusivamente "prendere atto" della tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività, ma determina soltanto l'impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. 


L'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti", prosegue la Corte, va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. 


Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro


Ciò significa che se vi sono specifiche deduzioni difensive, il giudice deve valutarle al fine di verificare l'effettiva sussumibilità del fatto nella fattispecie ipotizzata, ravvisandosi altrimenti una mancanza di motivazione, correlata all'elusione del relativo obbligo, che si traduce in una violazione di legge, deducibile in sede di legittimità.


Nel caso di specie il Tribunale ha rilevato la sussistenza del fumus del reato di cui all'art. 615 c.p. e ha ritenuto necessario acquisire il contenuto delle registrazioni del sistema di videosorveglianza, al fine di verificare le illecite interferenze. In particolare, il giudice ha affermato che l'installazione era avvenuta all'evidenza contro la volontà della moglie, la quale aveva oscurato le telecamere con dei panni.


Ma è proprio il punto della "notorietà" in famiglia dell'installazione a vacillare, in quanto la difesa ha fornito elementi costituiti dalle dichiarazioni del figlio della coppia e da un'attestazione del Comandante dei Carabinieri vche dimostrano come l'installazione del sistema di video sorveglianza era risalente e in famiglia nota a tutti.


Questo elemento, conclude la Cassazione, al di là della verifica circa la fondatezza della notizia di reato, si contrappone con evidenza alla configurabilità del fumus di un'interferenza indebita nella vita privata.


Il Tribunale avrebbe dovuto dunque valutare tutte le deduzioni difensive, onde corroborare il giudizio sull'attuale ravvisabilità del fumus del reato, cui il sequestro era stato specificamente ricollegato. L'assenza di qualsivoglia riferimento, nel provvedimento impugnato, a quelle deduzioni si traduce in una violazione di legge, che comporta l'annullamento dell'ordinanza, con rinvio per nuovo esame.

Cass., VI sezione penale, sent. n. 14253/2017

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