di Paolo M. Storani - LIA Law In Action ha il piacere di ospitare uno splendido focus di Lina Musumarra, corredato di riferimenti normativi e giurisprudenziali, sul problema delle posizioni di garanzia per la sicurezza in montagna.
Con Lina, apprezzata giurista molto esperta di sport, eravamo rimasti al suo lavoro del 29 marzo 2016 sul gioco del calcio e sulla scriminante dell'accettazione del rischio.
Ora affronta il caso, deciso dal Tribunale Penale di Bolzano nell'aprile 2016 con sentenza che è stata appellata, della sicurezza in ambito sportivo-amatoriale su una pista di slittino.
Nell'evento perse la vita un ragazzo di quattordici anni, principiante assoluto, condotto, con un gruppo di altri bambini (su sei, quattro non avevano mai slittato prima), su una delle piste più pericolose dell'Alto Adige, la stretta pista di slittino della Croda Rossa.
Presi per mano da Lina vedremo squadernati gli aspetti salienti della responsabilità del precettore, della configurabilità di un contratto di insegnamento della pratica dello sci stabilito dalla madre del minore con il maestro di sci e del ricorso alla figura del c.d. contatto sociale.
Buona lettura, con l'avvertenza che i neretti sono i nostri.
Il problema della sicurezza in montagna: le posizioni di garanzia
Trib. Pen. Bolzano, sent. n. 663/2016 - Lina Musumarra
"Le posizioni di garanzia si individuano generalmente in capo a soggetti che, dotati di un potere organizzativo e dispositivo, sono in grado di attivare, in modo efficace e tempestivo, le necessarie misure preventive nei confronti di situazioni potenzialmente pericolose.
Il problema della sicurezza in montagna è, per il diritto penale, un tipico problema di 'prevenzione' che concerne l'individuazione di precisi obblighi (dovere di valutazione dei rischi naturali, dovere di conoscenza, dovere di protezione), la cui violazione costituisce l'indispensabile premessa per una rimproverabilità soggettiva".
In particolare, "l'ancoraggio normativo che consente di identificare correttamente una fattispecie omissiva impropria è offerto dall'art. 40, c. 2, c.p., norma che riconosce un preciso vincolo giuridico; che formalizza il rapporto di dipendenza sussistente tra un'azione doverosa e la tutela di un bene giuridico".
In questo contesto, ha assunto un crescente rilievo l'individuazione, da una parte, degli obblighi gravanti in capo ai gestori degli impianti sciistici (intesi quali titolari dell'autorizzazione all'esercizio delle infrastrutture come individuate dal legislatore, nonché i soggetti che, per contratto, ricoprono tale qualifica) e, dall'altra, delle norme di comportamento degli utenti delle aree sciabili.
Sotto il profilo normativo, i doveri nei quali si traduce la posizione di garanzia del gestore sono stati codificati dalla legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di sicurezza nella pratica non agonistica degli sport invernali da discesa e da fondo, quale norma quadro sul cui solco le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano hanno adeguato la propria normativa di riferimento.
L'art. 3 della legge introduce un generale dovere di protezione dell'utenza ("i gestori assicurano la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni"), cui seguono, nelle disposizioni successive, alcuni obblighi complementari, quali il rispetto dei requisiti tecnici di percorribilità della pista; il soccorso ed il trasporto degli infortunati all'interno delle aree di competenza; l'esposizione della segnaletica, dei documenti relativi alla classificazione delle piste e delle regole di condotta; la manutenzione ordinaria e straordinaria; la segnalazione delle avverse condizioni del fondo.
Inoltre, qualora gli impianti presentino pericoli oggettivi dipendenti dallo stato del tracciato o di origine atipica, il responsabile della struttura deve attivarsi affinché siano rimossi o l'accesso alla pista venga impedito agli utenti.
In particolare, secondo Cass. pen., 9 novembre 2015, n. 44796, "la colpa omissiva deve ancorarsi ad un obbligo giuridico che non è necessariamente vincolato all'esistenza di una norma o regola dettata da fonte pubblicistica o privatistica, ma può derivare anche dall'attività propria dell'obbligato in quanto possibile fonte di pericolo. Il gestore dell'impianto e delle piste servite ha infatti a suo carico l'obbligo della manutenzione in sicurezza della piste medesime che gli deriva altresì dal contratto concluso con lo sciatore che utilizza l'impianto. Il pericolo da prevenire, oggetto della posizione di garanzia, non è quindi solo quello interno alla pista: ed invero l'obbligo di protezione che è proiezione della posizione di garanzia riguarda anche i pericoli atipici, cioè quelli che lo sciatore non si attende di trovare, diversi quindi da quelli connaturati a quel quid di pericolosità insito nell'attività; deve escludersi, nel caso di specie, che un tale obbligo di protezione si possa dilatare sino a comprendervi i c.d. pericoli esterni, ma, nondimeno, il gestore, nel caso in esame, doveva prevenire quei pericoli fisicamente esterni alle piste, ma cui si poteva andare incontro anche in caso di comportamento imprudente di terzi".
Principio affermato anche da Cass. pen, 15 settembre 2015, n. 37267, a mente della quale "l'obbligo di garanzia del direttore di una pista di sci è proiezione di una posizione di garanzia che riguarda anche pericoli atipici, cioè quelli che uno sciatore non si attende di trovare. Pertanto, il gestore deve prevenire quei pericoli fisicamente esterni alle piste a cui può andarsi incontro in caso di uscita di pista, quando la situazione naturale dei luoghi renda altamente probabile che si fuoriesca dalla pista stessa".
Peraltro quest'ultima sentenza - richiamando la teoria del cd. contatto sociale di matrice civilistica - aggiunge alla tradizionale fonte dell'obbligo di impedire eventi lesivi, ex art. 40, c. 2, c.p., ulteriori e diverse posizioni di garanzia in applicazione di principi costituzionali, laddove afferma che "in tema di responsabilità da illecito omissivo del gestore di impianto sciistico, l'omittente risponde del danno derivato a terzi non solo quando debba attivarsi per impedire l'evento in base ad una norma specifica o ad un rapporto contrattuale, ma anche quando, secondo le circostanze del caso concreto, insorgano a suo carico, per i principi di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., doveri e regole di azione la cui inosservanza integra un'omissione imputabile".
In linea con l'orientamento in parola si pone la sentenza del Tribunale di Bolzano, n. 663 del 1 aprile 2016, la quale - in relazione all'infortunio mortale subito il 1 marzo 2012 da un ragazzo di 14 anni, Romano..., lungo la pista da slittino della Croda Rossa, in Alto Adige - ha dichiarato colpevoli del reato di omicidio colposo l'amministratore delegato (all'epoca dei fatti) della società... gestrice della pista da slittino della Croda Rossa, il responsabile della sicurezza della pista, nonché il maestro di sci.
Il processo ha avuto una vasta eco mediatica, per aver coinvolto un gruppo di bambini, di età compresa tra gli otto e i quattordici anni, condotti dal maestro di sci su una delle piste da slittino ritenute più pericolose dell'Alto Adige, a causa della morfologia del tracciato e dell'ampia lunghezza dello stesso, priva, nel tratto in cui il giovane minorenne ha perso la vita, delle necessarie misure di protezione.
Il gestore della pista è stato imputato di avere provocato la morte di Romano ... per negligenza, imprudenza o imperizia e quindi per colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 3 della legge n. 363/2003 e della regola che il gestore di un'area attrezzata da slittino è tenuto alla messa in sicurezza e a proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste.
Poiché nella fattispecie in esame l'evento mortale si è verificato in concreto fuori dalla pista, si pone per il giudicante la problematica "della sussistenza, in capo al gestore della pista, di un obbligo di tutela del bordo pista e dell'estensione di tale obbligo".
Si legge sul punto nella motivazione: "Come noto, costituisce principio generalmente affermato in dottrina e giurisprudenza quello secondo cui il gestore di una pista è tenuto a garantire la sicurezza della pista attraverso la costante battitura e la continua manutenzione, affinché permangono i caratteri tecnico - morfologici. Si tratta di sicurezza interna e non assoluta, in quanto lo sci si svolge in uno scenario comunque pericoloso, per essere i percorsi contornati da alberi, rocce, pendii, che costituiscono pericoli tipici, siccome dipendenti da situazioni di natura (Cass. 20.4.2004, n. 27861). Da qui sorge la tradizionale distinzione tra pericoli tipici e atipici, con la specificazione che il gestore è tenuto a neutralizzare solo le situazioni di pericolo effettivamente insidiose o, comunque, che superino il normale rischio cui l'utente è disposto ad esporsi o che si aspetta di trovare (pericoli atipici); mentre rimangono a carico dello sportivo i pericoli tipici, che egli avrebbe agevolmente evitato usando la comune prudenza (pericoli tipici).
Relativamente al bordo pista, dovendosi escludere un generalizzato obbligo di recinzione di tutto il percorso - che, oltre ad essere economicamente molto gravoso, sarebbe decisamente antiestetico e in gran parte superfluo ed ultroneo - si tratta di valutare su quali piste e in quali tratti vi sia un elevato, concreto e prevedibile rischio di fuoriuscita dalla pista e tale valutazione va operata in relazione alle caratteristiche della pista e al suo grado di difficoltà.
A tale riguardo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato, in precedenti casi sottoposti al suo esame, un principio di diritto pressoché costante (…): 'In tema di lesioni colpose, incombe al gestore di impianti sciistici l'obbligo di porre in essere ogni cautela per prevenire i pericoli anche esterni alla pista ai quali lo sciatore può andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima, là dove la situazione dei luoghi renda probabile per conformazione naturale del percorso siffatta evenienza accidentale' (Cass. 25.2.2010, n.10822 e Cass. 19.3.2015, n. 15711). In base a quello che risulta dalla motivazione delle sopra indicate decisioni, si ritiene che possano considerarsi affermati e consolidati i seguenti principi:
- il gestore non ha un obbligo generalizzato di proteggere con recinzioni tutte le piste;
- i pericoli esterni tipici sono a carico dello sciatore;
- vi è però un obbligo del gestore di recinzione nei punti insidiosi;
- vi è un obbligo di recinzione, da parte del gestore, in caso di pericolo di uscita, per situazione naturale o per predisposizione strutturale (battitura sino all'orlo e naturale declivio);
- insidia può essere considerata anche la levigatura della pista fino all'orlo, che elimini ogni irregolarità naturale, che possa trattenere il corpo dello sciatore".
Conclude, quindi, il Tribunale affermando che "gli elementi acquisiti nel presente processo inducono a far ritenere esistente un obbligo del gestore della pista di slittino della Croda Rossa di recintare o comunque proteggere il bordo esterno che fiancheggia il tratto di pista dal quale è uscito Romano, perdendo la vita. Il predetto bordo pista, infatti, in considerazione della conformazione della pista e delle sue condizioni al momento del sinistro, rappresentava un'insidia, che il gestore della pista era tenuto a neutralizzare.
Come in precedenza osservato, la zona teatro dell'incidente presentava una rapida scarpata a valle - con un'angolazione del 70% (ovvero 35°), come risulta dal verbale dei rilievi urgenti e accertamenti fotografici redatto in data 2.3.2012 dalla Polizia di San Candido - priva di qualsivoglia protezione. Inoltre, come risulta dalla documentazione fotografica e come è stato confermato dalle deposizioni testimoniali, il tratto di pista in questione era stato battuto fino al bordo, quest'ultimo non era stato adeguatamente rialzato e pertanto non vi era alcuna soluzione di continuità tra il bordo pista e la ripida scarpata adiacente.
Il tratto in questione, poi, pur essendo rettilineo, era un tratto preceduto poco prima da un tornante e da tre semicurve e presentava una discreta pendenza, sia verso valle, sia verso il bordo esterno. La mera circostanza che il tratto in questione fosse rettilineo non assume rilievo decisivo per escludere l'obbligo di protezione del bordo pista, dal momento che si trattava di un rettilineo in mezzo alla pista, in un tratto in pendenza, preceduto da un tornante e da semicurve e su una pista resa pericolosa dal fondo in parte ghiacciato e dalla battitura della pista fino all'orlo e non di rettilineo posto all'inizio della pista, dove il rischio di uscire avrebbe anche potuto essere considerato minimo o inesistente, posto che all'inizio della pista una persona parte da ferma e quindi con una velocità pari a zero.
Invece il rettilineo in questione era preceduto da quasi mezzo chilometro di pista che presentava le caratteristiche sopra descritte, e pertanto vi era la concreta possibilità di percorrerlo arrivando in velocità ed eventualmente anche in una posizione non ottimale.
E' bensì vero che la velocità teoricamente raggiungibile nel tratto in questione, nonché quella concretamente raggiunta da Romano, al momento della fuoriuscita di pista, non è stato oggetto di uno specifico accertamento, tuttavia, si può ragionevolmente ritenere, tenuto conto delle condizioni della pista concretamente accertate - neve resa insidiosa da uno strato ghiacciato e pendenza sia del tratto in esame che di quelli precedenti - nonché della posizione in cui sono stati rinvenuti il corpo di Romano, lo slittino e il casco - il corpo a 13 metri di distanza dal bordo pista, lo slittino impiantato nella neve a circa 3 metri di distanza dal corpo e il casco sbalzato a 6,80 metri di distanza - che l'impatto occorso a Romano sia stato particolarmente violento, il che è indicativo di una sostenuta velocità da lui raggiunta nel corso della discesa.
Infine va considerato che le piste di slittino hanno di solito una larghezza limitata e la pista di slittino della Croda Rossa non rappresentava un'eccezione al riguardo, correndo lungo il percorso di una strada forestale.
In effetti si deve ritenere che, tra i criteri da prendere in considerazione, per stabilire in quali tratti di pista sia necessario prevedere una protezione del bordo pista, vi sia anche quello della larghezza della pista, posto che una protezione può rendersi necessaria in una zona particolarmente stretta, rispetto ad una più larga.
Ecco quindi che, mentre nelle piste da sci - che nella maggior parte dei casi presentano un'ampia larghezza, tale da consentire una discesa in condizioni di sicurezza, anche stando lontano dal bordo pista - una protezione generalizzata del bordo pista può apparire in gran parte superflua, non altrettanto è da dirsi per quanto riguarda le piste da slittino in generale e la pista da slittino della Croda Rossa in particolare, la quale presenta una larghezza di appena 340 cm, sufficiente per il passaggio di uno o al massimo due slittini alla volta, laddove già il passaggio di due slittini affiancati - e quindi un'eventuale manovra di sorpasso - può risultare fonte di pericolo. Si tratta indubbiamente di uno spazio limitato, che porta inevitabilmente l'utente della pista a trovarsi spesso, durante la discesa, in prossimità del bordo pista, anche perché la pista si snoda lungo continue curve e tornanti.
Si consideri poi che, per quanto affermato dai testi indicati dalla difesa degli imputati sulla pista da slittino della Croda Rossa vi è un massiccio afflusso di utenti nel corso di tutta la stagione, ragione per cui è del tutto prevedibile e normale che la pista in questione presenti, lungo il suo percorso, una situazione di traffico tale da costringere gli slittinisti a rapportarsi anche per questo motivo con il bordo pista.
Siccome non è immaginabile che tutte le persone scendano alla stessa velocità, è verosimile che si formino degli ingorghi lungo la pista, a causa di persone che scendono più lentamente, e che per superare tali persone l'utente più veloce sia costretto a spostarsi spesso verso il bordo pista.
Infine è emerso che, nel tratto di pista in questione, si era verificato, appena 10 giorni prima, un altro sinistro che aveva visto un ragazzo uscire di pista e procurarsi delle lesioni fortunatamente non letali.
Riguardo tale incidente è stata sentita come teste la maestra di sci (…) alla quale era stato affidato il ragazzo infortunato. La teste ha confermato la circostanza che il ragazzo è uscito dalla pista nello stesso tratto di pista in cui è uscito Romano, e lei stessa non è riuscita a comprendere il motivo della caduta, limitandosi a dichiarare che il ragazzo aveva detto di avere perso il controllo, per motivi di cui lui stesso non riusciva a spiegarsi.
Pertanto, per tutte le ragioni sopra specificate, il bordo pista del tratto di pista di slittino, in cui Romano è uscito, rappresentava un'insidia, che il gestore della pista avrebbe dovuto rimuovere, predisponendo adeguate protezioni, che tuttavia non sono state approntate. La necessità di tali protezioni è apparsa evidente, a distanza di poco tempo, allo stesso gestore della pista, posto che, dopo il sequestro della pista, i consulenti tecnici incaricati dalla difesa del gestore, sentiti come consulenti nel presente procedimento, proponevano loro stessi, come misura di sicurezza, la creazione di un bordo protettivo nevoso, affermando che 'in primavera questi bordi protettivi nevosi vanno osservati con particolare attenzione' e che 'questi bordi protettivi nevosi hanno una funzione particolare sui tratti dritti e nei tratti con curve lievi per evitare che l'utente possa uscire, in maniera incontrollata, dalla traiettoria'.
Per quanto concerne, poi, la posizione del maestro di sci, allo stesso è stato addebitato il fatto di aver provocato la morte del bambino, "nella qualità di maestro di sci affidatario del minore, per negligenza, imprudenza o imperizia e quindi per colpa generica, consistita nella violazione del dovere di protezione degli allievi a lui affidati, per aver condotto ...Romano, pur trattandosi di principiante assoluto, in una pista da slittino che, per pendenza e raggio di curvatura, non era adatta a soggetto inesperto, nonché per la violazione della regola di prudenza, che avrebbe voluto il maestro precedere l'allievo nella discesa".
Secondo il Tribunale di Bolzano "la posizione dell'imputato deve essere valutata sia tenendo conto degli obblighi cui soggiace in generale un precettore o maestro, a cui un allievo viene affidato, sia tenendo conto degli obblighi specifici che incombono su un maestro di sci che insegni la pratica sciistica, posto che questo era il compito che egli era tenuto a svolgere".
Nella fattispecie, "la posizione di garanzia derivava quindi innanzitutto dal contratto di insegnamento della pratica dello sci, stipulato con la madre di Romano, comprendente tutti gli obblighi di cui si parlerà in seguito e in ogni caso dal 'contatto sociale' instaurato con il minore e perdurante per tutto il periodo dell'affidamento: il primo e il secondo fonti dell'obbligo di porre in essere tutte le necessarie cautele, suggerite dall'ordinaria prudenza, per garantire l'incolumità del minore".
Tra gli obblighi che incombono sul precettore in generale e sul maestro di sci in particolare, "ulteriori rispetto a quello di insegnamento, e che rappresentano una specificazione del dovere di protezione, di prudenza e di salvaguardia dell'incolumità del discente", il giudicante richiama quello di "vigilare gli allievi a lui affidati"; di "insegnare le tecniche per sciare in sicurezza"; di "impedire che gli allievi assumano rischi inutili, tenendo conto in particolare delle condizioni atmosferiche e dello stato di innevamento e di ogni ulteriore condizione ambientale"; di "seguire un numero di allievi che non sia così numeroso, da non permettergli di tenerli tutti sotto controllo"; di "verificare che nel gruppo vi sia una conoscenza tecnica omogenea, trasferendo eventualmente colui che dimostri capacità tecniche inferiori a quelle dei compagni in un'altra compagine a lui più congeniale"; di "portare gli alunni su una pista adeguata alle loro capacità"; di "verificare le condizioni della pista e informarsi su eventuali pericoli, come tratti ghiacciati o insidie: si tratta di condizioni imprevedibili per lo sciatore, ma che l'istruttore ben conosce lavorando tutto il giorno sulle piste"; di "verificare se l'attrezzatura utilizzata dai discenti sia adeguata, dovendo al limite escludere dall'attività coloro che non dispongono dell'attrezzatura idonea"; di "verificare se l'effettiva capacità tecnica dell'alunno corrisponda a quella dichiarata".
Controlli più accurati devono poi essere effettuati nel caso in cui "il discente sia minore, dovendosi pretendere dal maestro di sci anche un controllo personale sull'attrezzatura del minore ed una corretta e completa informazione ai genitori sul tipo di lezione e sulle difficoltà del tracciato, affinché questi possano decidere consapevolmente se far praticare al minore il tipo di sport proposto dal maestro".
All'esito dell'istruttoria, è stata quindi accertata la violazione di molteplici obblighi di cautela e di protezione del minore da parte dell'imputato.
In primo luogo quest'ultimo "era consapevole del fatto che Romano... non aveva mai slittato prima" e come per lui anche per la "la sorella" e altri due bambini del gruppo di sei minori "era in assoluto la prima discesa con lo slittino".
"Regola di prudenza avrebbe quindi imposto al maestro" - secondo il Tribunale - "di portare i ragazzi su una pista confacente alle loro capacità di slittare - pari a zero - e quindi su una pista facile (…)".
Nel caso specifico questa elementare regola di prudenza "è stata completamente trascurata dal maestro di sci, in quanto egli ha portato i ragazzi a slittare su una pista da slittino sicuramente non facile, ma difficile e pericolosa, sia per la notevole lunghezza pari a circa 5 km, sia per la non trascurabile pendenza, sia per la presenza di numerose curve e tornanti, sia per il fatto che la stessa pista era stata segnalata, alla partenza, come pista nera ghiacciata".
Il maestro di sci avrebbe dovuto conoscere "l'obiettiva difficoltà della pista", "vista la sua professione", trascorrendo "tutta la giornata sulle piste" e disponendo quindi "di conoscenze e di una capacità di valutare lo stato dei luoghi di gran lunga superiori a quelle di un normale utente - circostanze che avrebbero dovuto indurlo a rinunciare al suo proposito di portare i ragazzi a slittare e a scegliere eventualmente un altro tipo di occupazione, per il restante tempo in cui i ragazzi dovevano rimanere a lui affidati".
Al momento del sinistro la pista era inoltre "priva di barriere di protezioni laterali, rappresentate da neve battuta a bordo pista o da apposite barriere protettive artificiali, salvo che in alcuni punti, prevalentemente in curva, ma comunque non nel punto in cui Romano è uscito (…)".
Regola di prudenza "avrebbe poi richiesto che il maestro di sci controllasse se l'abbigliamento dei ragazzi fosse adeguato al tipo di attività che essi andavano ad intraprendere. Tale controllo o non è stato effettuato o è stato effettuato in modo superficiale ed inidoneo da parte del maestro di sci, in quanto egli ha permesso che Romano scendesse sullo slittino con dei comuni moon-boot, che non sono affatto una calzatura adeguata per le discese con lo slittino, in particolare, poi, se la discesa debba avvenire lungo un percorso in alcuni tratti ghiacciato. Come, infatti, risulta dalla documentazione acquisita sulle regole di prudenza per slittare in sicurezza e dall'istruttoria testimoniale, la calzatura adeguata per slittare - dal momento che i piedi devono essere usati attivamente, per poter governare la slitta e frenare in modo efficace - consiste in scarpe alte munite di placche chiodate ovvero in ramponcini che aumentino il grip (vale a dire la presa, l'aderenza, la tenuta) o ancora in una calzatura con dispositivi frenanti o una suola zigrinata per garantire una adeguata stabilità, tutte calzature che Romano non aveva addosso al momento del fatto e che avrebbe dovuto possedere per potere scendere - lui che non aveva mai slittato prima - in condizioni di sicurezza".
Ulteriore regola di prudenza che non è stata osservata dal maestro di sci "era quella di fornire ai ragazzi istruzioni complete e adeguate sulle modalità di slittare in sicurezza - e quindi quale posizione tenere sullo slittino, come affrontare la discesa, come curvare e frenare in modo efficace, anche in caso di emergenza - e soprattutto di impartire loro una dimostrazione pratica, visto che ben quattro ragazzi su sei non avevano mai slittato prima.
Come efficacemente è stato osservato dal difensore della parte civile, non si affida ad una persona un'automobile da guidare, dopo averle impartito solamente una lezione teorica all'interno della scuola guida.
Invece di fare ciò, il maestro di sci, per quanto risulta dall'istruttoria dibattimentale, si è limitato a dare delle indicazioni sommarie e superficiali e si è accontentato del fatto che nessuno dei ragazzi - verosimilmente per non fare brutta figura di fronte ai compagni - aveva chiesto ulteriori spiegazioni e che nessuno aveva dichiarato di non avere capito bene (così i testi ….).
Non pago di ciò, il maestro di sci non ha in alcun modo organizzato la discesa in modo tale da potere tenere i ragazzi sott'occhio durante il percorso e verificare così se gli stessi avessero capito le scarne istruzioni, che erano loro state impartite, e se le applicassero effettivamente, scendendo in modo corretto.
Al contrario, il maestro di sci si è limitato a stabilire l'ordine di partenza e, una volta fatto ciò, ha lasciato che ognuno dei ragazzi andasse incontro al proprio destino; non ha minimamente potuto osservare come i ragazzi affrontavano la discesa, perché il gruppo era troppo numeroso e lui era troppo distante da loro e non ha quindi potuto verificare eventuali errori o difficoltà di posizione sul mezzo o di manovra nel corso della discesa.
Dopo la prima discesa si erano poi verificate delle circostanze, che avrebbero dovuto indurre il maestro a non fare effettuare ai ragazzi ulteriori discese con lo slittino.
In particolare, secondo quando riferito dalla teste (ndr, la sorella di Romano) - la cui deposizione appare particolarmente attendibile al riguardo, anche perché riscontrata dalla deposizione di (…) - essa si era fatta male durante la prima discesa, perché era andata a sbattere ('si era schiantata') contro una protezione laterale e le era venuto un livido alla gamba.
Il maestro di sci doveva essersi accorto di questo episodio, in quanto lo ha riferito in sede di esame, anche se ha tentato di minimizzarne la portata. Inoltre la stessa … (ndr, la sorella di Romano) ha riferito che Romano aveva dichiarato, dopo la prima discesa, che la pista gli era sembrata pericolosa. Un tanto è risultato anche dall'esame di (n.d.r., uno dei bambini del gruppo), la cui deposizione in sede dibattimentale è apparsa in larga parte inattendibile ed è stata oggetto di continue contestazioni.
Una di tali contestazioni, in particolare, ha riguardato la sua dichiarazione secondo cui Romano gli avrebbe detto che la prima discesa era andata bene.
Laddove il (…), sentito a SIT nel 2012, aveva invece dichiarato che Romano gli aveva riferito di avere rischiato di cadere.
Inoltre il maestro poteva anche immaginarsi che i ragazzi fossero stanchi, dopo avere sciato tutta la mattina, avere avuto abbondante pranzo (a base di cotoletta o pastasciutta) e avere percorso già 5 km di discesa sullo slittino lungo una pista che presentava le caratteristiche di pericolosità di cui si è parlato prima.
Nonostante ciò, il maestro di sci ha fatto nuovamente scendere i ragazzi per la pista da slittino, senza minimamente preoccuparsi, anche nella seconda discesa, del modo in cui i ragazzi affrontavano la discesa, senza quindi verificare se essi scendessero correttamente e senza poterli eventualmente correggere; senza infine neppure accorgersi che Romano, che partiva come terzo, era uscito di pista con esito fatale.
Invano la difesa del maestro di sci ha negato la sussistenza di siffatte negligenze, tentando di traslare sui ragazzi l'obbligo di garanzia, che invece incombeva su di lui: non erano infatti i ragazzi che avrebbero dovuto decidere se slittare o meno su quella pista, era il maestro che doveva valutare se vi fossero tutti i presupposti perché i ragazzi slittassero in condizioni di sicurezza; non erano i ragazzi che avrebbero dovuto dire se avevano capito o meno le istruzioni, ma era il maestro che doveva verificare se essi le avessero effettivamente capite e le avessero messe in pratica; non doveva il maestro accontentarsi di chiedere ai ragazzi come fosse andata la prima discesa, ma avrebbe dovuto personalmente controllare che ciascuno di loro fosse sceso in modo corretto".
Autrice: Lina Musumarra