Il reato di doping, come disciplinato dall'art. 586 bis c.p., punisce l'uso o la somministrazione di sostanze finalizzate ad alterare le prestazioni agonistiche degli atleti

Cos'è il reato di doping

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Il reato di doping è contemplato dall'art. 586 bis c.p. che è stato introdotto nel codice penale dall'art. 2 del D.Lgs. 01/03/2018, n. 21. Il reato è stato intitolato nello specifico "Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti".

La norma punisce con la multa da 2.582 euro a 51.645 "chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze".

Stesse pene, a meno che non integrino un reato più grave, sono previste anche per chi "adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste dalla legge non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche".

Aggravanti e pene accessorie

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Il reato è aggravato con conseguente aumento delle pene appena viste se dal doping deriva un danno alla salute dell'atleta, se l'atleta è un minorenne, se a commetterlo è un componente o da un dipendente del Comitato olimpico nazionale italiano o di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un'associazione o di un ente riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano. Ipotesi quest'ultima che comporta, oltre alla condanna anche l'interdizione permanente dagli uffici direttivi del Comitato olimpico nazionale italiano, delle federazioni sportive nazionali, delle società, delle associazioni e degli enti di promozione riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano.

Interdizione che colpisce invece in modalità temporanea l'esercente di una professione sanitaria.

Alla condanna segue sempre anche la confisca dei farmaci, delle sostanze farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.

Al comma 7 la norma punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 5.164 a euro 77.468 anche il commercio delle sostanze dopanti comprese nelle classi indicate dalla legge, idonee a modificare le condizioni dell'organismo, alterare le prestazioni agonistiche degli atleti o modificare i risultati dei controlli sull'uso di questi farmaci o sostanze, se effettuato con canali diversi rispetto alle farmacie aperte al pubblico, a quelle ospedaliere, ai dispensari aperti al pubblico e alle altre strutture che detengono farmaci destinati alla utilizzazione sul paziente.

Il doping nella legge 376/2000

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Fino a quando non è entrato in vigore nel 2018 l'art. 586-bis c.p sopra analizzato, il doping era punito dalla Legge 376 del 2000 contenente la "Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping", che ha attuato la Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989.

Il secondo comma dell'articolo 1 della citata legge statuiva che il doping consisteva nella somministrazione di sostanze farmacologiche ovvero pratiche mediche senza alcuna giustificazione legata a condizioni patologiche del soggetto finalizzate ad alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. L'articolo si chiudeva consentendo l'uso terapeutico del doping purché le condizioni patologiche dell'atleta fossero documentate nonché certificate dal medico, tanto è vero che allo sportivo poteva essere prescritto specifico trattamento purchè attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tale caso l'atleta aveva l'obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione e poteva partecipare a competizioni sportive, nel rispetto di regolamenti sportivi se ciò non metteva in pericolo la sua integrità psicofisica."

La norma poi proseguiva, contemplando condotte e conseguenze in parte simili e in parte diverse rispetto alla formulazione attuale dell'art. 586-bis cp.

Dolo specifico

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A mettere in evidenza una differenza tra la vecchia e la nuova norma è intervenuta anche la Cassazione con la sentenza n. 26326/2020 chiarendo in relazione al commercio di sostanze dopanti che: "non vi è piena coincidenza tra la fattispecie di cui all'abrogato art. 9, comma 7, l. n. 376 del 2000 e quella oggetto di incriminazione da parte del vigente art. 586-bis, comma 7, cod. pen., che, a differenza della precedente figura delittuosa, contempla il dolo specifico del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti", prevedendo, in alternativa (ipotesi che qui nn rileva), la condotta di commercio di sostanze idonee a modificare i risultati dei controlli anti-doping, che vengono assimilati alle sostanze dopanti. Non vi è dubbio che la previsione, nella nuova figura delittuosa considerata dal comma 7 dell' art. 586-bis cod. pen., del dolo specifico rappresenta un filtro selettivo della penale rilevanza della condotta, che è ora punita solo ove l'agente abbia agito con il fine indicato dalla norma, non essendo ovviamente richiesto, come ogni reato a dolo specifico, che quel fine sia effettivamente conseguito. In altri termini, la fattispecie contemplata dall'art. 586-bis, comma 7, cod. pen. non incrimina più la commercializzazione tout court di sostanze dopanti, come avveniva in relazione all'abrogato art. 9, comma 7, I. n. 376 del 2000, ma solo quella in cui l'agente si prefigge lo scopo "di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti", indipendentemente dall'effettivo conseguimento di tale finalità. Per effetto della previsione dell'indicato dolo specifico, si è perciò realizzata una parziale abolitio criminis, non essendo più punito il commercio di "sostanze dopanti" commesso in assenza del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti"; in caso del genere, nemmeno può trovare applicazione la fattispecie del comma 1, la quale pure esige il medesimo dolo specifico".

Doping e ricettazione

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Il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati (art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000 n. 376) può concorrere con il reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.), in considerazione "della diversità strutturale delle due fattispecie - essendo il reato previsto dalla legge speciale integrabile anche con condotte acquisitive non ricollegabili ad un delitto - e della non omogeneità del bene giuridico protetto, poiché la ricettazione è posta a tutela di un interesse di natura patrimoniale, mentre il reato di commercio abusivo di sostanze dopanti è finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive" (cfr. Cass. n. 14556/2021; Sez. U, n. 3087/2005; n. 12744/2010). Quanto al profilo soggettivo della ricettazione, la Cassazione, in un caso analogo "relativo all'acquisto di farmaci anabolizzanti provento del delitto previsto dall'art. 9 della legge 14 dicembre 2000 n. 376, al fine di farne uso personale per la modifica della struttura muscolare, ha affermato che il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale" (cfr. Cass. n. 10981/2022).


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