Cass. 2749 del 2008 sancisce l'esclusione per il socio di cooperativa moroso in quanto lede il rapporto fiduciario e il contratto sociale si scioglie
di Paolo M. Storani - Pubblicato su queste stesse colonne di LIA Law In Action in data 30 maggio 2016, un significato provvedimento del Tribunale di Taranto, Sez. II, del 26 maggio 2016 riguarda la morosità del socio di cooperativa, che, prima dell'assegnazione definitiva dell'immobile, è mero detentore dell'immobile.

Questo è il testo della sentenza evergreen della Corte di Cassazione, Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 2749, cui si riferiva il Giudice Monocratico della Città dei due Mari, Dott. Claudio Casarano.

La composizione di quel consesso di Ermellini fu davvero sontuosa: Presidente Alessandro Criscuolo, ora giudice alla Consulta (di cui è stato addirittura presidente sino al febbraio 2016, quando, dopo averle congruamente preannunciate per motivi familiari, ha rassegnato le dimissioni, pur rimanendo giudice costituzionale; alla guida della Consulta gli è succeduto Paolo Grossi), Relatore Gianfranco Gilardi, con Stefano Schirò, Giuseppe Salmè e Carlo Piccinini a completare la formazione collegiale.

In special modo, si segnala il rigetto dei motivi terzo e quarto, così compendiata:

"Sino all'assegnazione definitiva dell'immobile, il socio di società cooperativa non può vantare, rispetto all'immobile occupato, altra posizione che quella di detentore nell'interesse della cooperativa, proprietaria dell'intero edificio; venuta meno la qualità di socio a seguito della delibera di esclusione (peraltro esecutiva ex lege e che non risulta essere stata sospesa in via giudiziaria) il ricorrente è decaduto anche dalla prenotazione dell'immobile, con la conseguenza che egli non può vantare alcun diritto alla permanenza nell'occupazione di autista né con riferimento alla cooperativa né con riguardo al P., che dell'immobile è divenuto assegnatario e proprietario".


CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. I CIVILE

5 FEBBRAIO 2008, N. 2749

Pres. Alessandro CRISCUOLO, Rel. Gianfranco GILARDI

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso n. 12756/06 ed il ricorso n. 16455/06 debbono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto insufficiente motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in quante la Corte d'appello non avrebbe considerato che, al fine di accertare se sussistono le condizioni idonee a giustificare l'esclusione del socio ai sensi dell'art. 2286 c.c., (cui faceva rinvio l'art. 2527 c.c., nel testo vigente prima della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, spetta al giudice verificare non solo la congruità della motivazione adottata a sostegno della ritenuta gravità, ma anche la sussistenza di quest'ultima, non sulla base di parametri liberi e astratti, ma tenendo conto del e disposizioni normative e statutarie; e nella specie sarebbero tutt'altro che pacifici sia gli importi dei la pretesa morosità, sia le voci ad essi relative, nè sarebbe comunque dimostrata alcuna spesa di manutenzione straordinaria.

Il motivo è infondato.

La Corte, d'appello ha invero accertato che il ricorrente ha omesso di versare sin dal 1982, e per i due anni successavi, le quote sociali, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile e le quote di spettanza sul mutuo concesso alla Cooperativa dalla Cassa di Risparmio.

Si è trattato dunque - come sottolineato nella sentenza impugnata - di una morosità totale e permanente, tale da integrare per se stessa la gravità dell'inadempimento cui l'art. 2286 c.c., subordina la possibilità di esclusione del socio, non potendosi dubitare che il venir meno del contributo del socio per un tempo così lungo e per un'entità così coesistente, sia idoneo ad incidere sulla sopravvivenza stessa della società ed a ledere il rapporto fiduciario, tra cooperativa ed il socio. Tale valutazione del giudice del merito appare conforme a diritto e, in ogni caso, implica un accertamento di fatto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità; nè il ricorrente - deducendo la mancanza di prova in ordine alla sussistenza delle spese straordinarie, che rappresentano peraltro solo una voce tra quelle il cui inadempimento è stato ad esso imputato ha investito di specifica censura il passo della sentenza impugnata in cui la Corte d'appello ha ritenuto "pacifico, perchè mai contestato", il mancato pagamento anche di tali spese.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 2531 c.c., (già art. 2354 c.c.).

In relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte d'appello trascurato di considerare che ai sensi dell'art. 2531 c.c., (cui corrisponde l'art. 2524 c.c., nel testo in vigore prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003) l'esclusione del socio non può essere disposta se non previa intimazione di adempimento da parte degli amministratori della cooperativa.

Il motivo è infondato, posto che l'art. 2524 c.c., (al pari di quanto stabilito attualmente dall'art. 2531 c.c.) faceva riferimento il solo pagamento "delle quote o delle azioni sottoscritte", mentre nella specie l'esclusione è stata disposta (anche) a causa del mancato versamento delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile e delle quote di spettanza del mutuo, con conseguente applicabilità dell'art. 2286 c.c., cui il ricordato art. 2527 c.c., rinviava per inadempimenti diversi da quello contemplato nell'art. 2524 c.c..

Con il terzo motivo lo S. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e per avere la Corte d'appello omesso di considerazione che, in quanto detentore qualificato dell'immobile a seguito di assegnazione da parte della cooperativa, esso ricorrente non poteva essere tenuto ai risarcimento del danno nei confronti di chi, come il P., era divenuto proprietario successivamente alla consegna dell'immobile stesso al detentore, e pur essendovi contestazioni in ordine alla titolarità del bene.

Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte d'appello non ha tenuto conto che il P. non era legittimato ad agire nei confronti dell'occupante, con il quale non era intercorso alcun tipo di rapporto giuridico, ma unicamente nei confronti della cooperativa, dalla quale avrebbe dovuto ottenere l'immissione nel possesso; nè poteva trascurarsi di considerare che il ricorrente era nella posizione del possessore in buona fede.

Il terzo ed il quarto motivo che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Sino all'assegnazione definitiva dell'immobile, il socio di società cooperativa non può vantare, rispetto all'immobile occupato, altra posizione che quella di detentore nell'interesse della cooperativa, proprietaria dell'intero edificio; venuta meno la qualità di socio a seguito della delibera di esclusione (peraltro esecutiva ex lege e che non risulta essere stata sospesa in via giudiziaria) il ricorrente è decaduto anche dalla prenotazione dell'immobile, con la conseguenza che egli non può vantare alcun diritto alla permanenza nell'occupazione di autista né con riferimento alla cooperativa né con riguardo al P., che dell'immobile è divenuto assegnatario e proprietario.

Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 306 c.p.c., n. 3, in quanto il giudice del rinvio non ha tenuto conte dell'esistenza di giusti motivi per compensare le spese processuali ed ha disposto la compensazione di quelle relative al giudizio di cassazione nel quale il ricorrente aveva ottenuto il riconoscimento della fondatezza delle proprie censure.

Il motivo è infondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio e al loro risultato, con la conseguente che la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione e tuttavia, soccombente nel rapporto all'esito finale della lite può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in favore dell'altra parte anche per il grado di cassazione (cfr., tra le altre, Cass. 7 febbraio 2007, n. 2634; 10 marzo 2004, n. 4909).

Lo S. non ha dunque motivo di dolersi per il fatto che la Corte d'appello, in considerazione dell'esito complessivo del giudizio, abbia confermato la statuizioni sulle spesa delle precedenti frasi di merito, disposto la compensazione per le spese per le spese relative alla fase di legittimità e condannato esso ricorrente al pagamento di quelle relative alla fase di rinvio.

Consegue da quanto sopra che il ricorso principale deve essere respinto; ed il rigetto del ricorso principiale comporta l'assorbimento di quello incidentale con il quale il P. ha chiesto, "in via subordinata", che la Corte accertata la formazione del giudicato interno sul punto, e correggendo la motivazione della sentenza impugnata - dichiari che esso controricorrente è divenuto proprietario dell'immobile in considerazione e che la compravendita è valida a prescindere dalla vicenda relativa alla delibera di esclusione del ricorrente dalla Cooperativa ...

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in favore della Cooperativa nella misura complessiva di Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00, per onorari di avvocato, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, ed in favore del P. nella misura complessiva di Euro 3.100,00 di cui Euro 3.000,00, per onorari di avvocato, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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