L'operazione mette a rischio la capienza del patrimonio del marito al fine di garantire il credito della moglie

di Lucia Izzo - Vanno revocate le vendite degli immobili disposte dall'ex marito durante la crisi coniugale e subito dopo la separazione, di cui l'ex moglie era all'oscuro, se appare provata la preordinazione dolosa sia in capo all'alienante che agli acquirenti.

Tali operazioni, infatti, mettono a rischio la capienza del patrimonio del partner al fine di poter garantire il credito della ex.


Lo ha disposto il Tribunale di Roma, decima sezione civile, nella sentenza n. 25868/2015 che ha sancito, ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'inefficacia di tre atti di vendita disposti dall'ex marito della ricorrente: prima della separazione e all'insaputa della moglie, l'uomo ha trasferito la casa coniugale al testimone di nozze e altri due immobili alla sorella in seguito.


In aggiunta a tali eventi traslativi, l'uomo non ha neppure prestato alla ex moglie e al figlio la necessaria assistenza: non avendo provveduto al versamento dell'assegno mensile (fissato dalla Corte d'Appello in euro 1.500), è scattata la condanna in sede penale nei suoi confronti per il reato previsto dall'art. 570 c.p.


Il Tribunale romano richiama le affermazioni della Corte di Cassazione, la quale più volte ha ribadito che "se l'azione revocatoria ha per oggetto atti anteriori al sorgere del credito, è richiesta, quale condizione per l'esercizio dell'azione medesima, oltre all'eventus damni, la dolosa preordinazione dell'atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito e, in caso di atto a titolo oneroso, la partecipazione del terzo a tale pregiudizievole programma"


Nel caso in esame si rende possibile l'accoglimento della domanda per diverse ragioni: in primis, la qualità dei soggetti terzi coinvolti, testimone di nozze e sorella dell'alienante, che, stante i rapporti con il convenuto, non potevano essere all'oscuro dei piano dell'uomo; in secondo luogo, determinante è la testimonianza della moglie di un socio dell'ex marito, che svolge la professione di commercialista, alla quale era stato proprio da lui confidato di voler simulare la vendita della casa coniugale per poter evitare in tal modo un'esecuzione sul suddetto bene da parte della ex.


I giudici, rammentano comunque che "la prova della conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (e del terzo) ben può essere fornita, trattandosi di un atteggiamento soggettivo, anche tramite presunzioni".


Nel caso di specie, i giudici capitolini aggiungono che "non è necessario che l'atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell'incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà o incertezza nell'esazione coattiva del credito medesimo"


Indubbiamente tra la ricorrente e l'ex marito esiste un credito, necessario presupposto per attivare l'azione revocatoria, e appare evidente anche il danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito degli atti di vendita eseguiti dall'ex, pertanto la domanda va accolta e gli atti dispositivi dichiarati inefficaci.



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