Specie se la madre ha risorse sufficienti a mantenere adeguatamente i piccoli. L'importo, infatti, non può prescindere dal principio di proporzionalità

di Valeria Zeppilli - La crisi finanziaria in cui versa l'azienda dell'ex coniuge può essere un valido motivo per giustificare l'importo basso dell'assegno di mantenimento da versare ai figli.

Come ricordato anche dalla prima sezione civile del Tribunale di Roma con la sentenza numero 18992/2015, infatti, la misura del contributo che il genitore non collocatario è tenuto a elargire per il mantenimento della prole non può prescindere dal principio di proporzionalità.

E proprio in ragione di ciò, e in forza dell'articolo 337-ter del codice civile, il giudice deve tenere conto delle esigenze attuali della prole, del tenore di vita goduto durante il rapporto coniugale, dei tempi in cui i figli permangono presso ciascun genitore, senza dimenticare la valenza economica dei compiti domestici dei quali ciascun genitore si fa carico né le rispettive risorse finanziarie.

Nel caso di specie, più nel dettaglio, il padre versava in una situazione economica in evidente stato di difficoltà rispetto al passato. Una delle sue società, infatti, era stata ceduta e un'altra era in calo. L'uomo, inoltre, aveva un canone d'affitto da pagare e un immobile in comproprietà da mantenere. Infine, gli introiti del suo conto corrente erano esigui.

Dall'altro lato, invece, c'era una donna, collocataria della prole, che poteva contare su uno stipendio di circa 2.400 euro netti al mese oltre che su di una casa di proprietà, in vendita per circa 300.000 euro. Senza contare che a suo carico non c'era nessun canone d'affitto da dover sostenere.

A fronte delle richieste della moglie di ricevere, come contributo per il mantenimento per i figli da parte dell'ex marito, 1.600 euro, il giudice ne ha reputati sufficienti solo 600. Addirittura 200 in meno di quelli che il padre era comunque disposto a corrispondere.

Valeria Zeppilli

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