La Cassazione conferma la colpa della barista, per negligenza e imprudenza nella custodia del liquido tossico, somministrato al cliente al posto della bibita

di Marina Crisafi - Non deve essere stata una bella esperienza quella del cliente di un bar di Chieti che si è ritrovato a bere detersivo al posto del succo di frutta all'ananas richiesto. Per fortuna, essendosi limitato a sorseggiarlo i danni sono stati contenuti e se l'è cavata con una "lieve" infiammazione.

Ma non la barista caduta in confusione che si è beccata una condanna per lesioni personali colpose.

È questo il "succo" (è proprio il caso di dirlo), della vicenda finita davanti alla Cassazione che non ha avuto dubbi sulla conferma della condanna per la donna.

Fatale, per la S.C. (sentenza n. 27772 depositata il 28 maggio 2015), la disattenzione della stessa, ritenuta colpevole di non aver conservato da parte e con i dovuti accorgimenti la bottiglietta che originariamente conteneva appunto succo di ananas e in cui invece era stato versato del detersivo destinato alla pulizia del locale.

Inequivocabile ed esaustivo, per piazza Cavour è infatti l'iter argomentativo seguito dai giudici di merito, in stretta coerenza con le risultanze di fatto. Per cui, la responsabilità penale della barista, ex artt. 113 e 590 c.p., in quanto materiale esecutrice della somministrazione del "liquido altamente tossico" in luogo della bibita, è pacificamente da ricondurre alla "negligenza ed imprudenza" dell'imputata, "a cagione della confusione tra i contenitori in cui era colposamente incorsa" anziché custodire con la dovuta attenzione la bottiglietta incriminata.

A nulla valgono le obiezioni della donna, costretta dunque a pagare mille euro di multa, nonché, in solido con la titolare dell'esercizio, al risarcimento del danno, a favore del malcapitato cliente, da liquidarsi in separata sede.

 


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