Il reato di istigazione al suicidio è previsto e punito dall'art. 580 c.p. con la reclusione da 1 a 5 anni ovvero, se il suicidio avviene, con la reclusione da 5 a 12 anni

Cos'è l'istigazione al suicidio

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L'istigazione al suicidio è un reato previsto e punto dall'art. 580 del Codice penale, secondo il quale "Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima".

Pene e aggravanti

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Le pene suddette vengono aumentate se la persona che viene istigata o eccitata o aiutata:

  • ha meno di 18 anni;
  • è inferma di mente o è affetta da una deficienza psichica;
  • è affetta da un'altra infermità;
  • abusa di sostanze alcooliche o stupefacenti.

Se poi il soggetto che viene istigato è un minore di anni 13 o comunque non ha la capacità di intendere e di volere, si applicano le disposizioni del reato di omicidio di cui agli articoli 575-577 c.p., che contemplano il reato base di omicidio e le circostanze aggravanti del reato stesso.

Bene tutelato

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Il bene tutelato dalla norma è la vita, e tal fine la norma punisce la determinazione o il rafforzamento in altri del proposito suicida se il suicidio si concretizza o cagiona una lesione grave o gravissima.

Elementi costitutivi del reato

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Sono, quindi, elementi costitutivi del reato la pluralità dei soggetti così come delle condotte (istigazione e determinazione), l'oggetto del reato che è la persona che viene istigata o determinata, l'evento plurimo composto da più eventi necessari di natura fisica e psichica e infine l'accordo della volontà dei due soggetti coinvolti.

Competenza e aspetti procedurali

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Secondo l'art 5 del Codice di Procedura Penale la competenza in ordine al reato de quo è della corte d'assise.

Quanto ai casi di connessione, ossia ai casi in cui il reato è commesso da più persone in concorso e cooperazione fra loro, si rimanda alla disposizione di cui all'art. 12 del Codice di procedura penale.

La sentenza della Consulta sull'eutanasia

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Prima di analizzare la giurisprudenza sul reato di istigazione è necessario ricordare che la Corte Costituzionale, anche dietro la spinta di correnti di pensiero che sostengono la libertà degli individui gravemente malati di ricorrere all'eutanasia, con la sentenza n. 242/2019 ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione -, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".

Questo perché, come rileva la Consulta nella motivazione: "Le condotte di istigazione al suicidio sarebbero, infatti, certamente più incisive, anche sotto il profilo causale, rispetto a quelle di chi abbia semplicemente contribuito alla realizzazione dell'altrui autonoma determinazione. Del tutto diverse risulterebbero, altresì, nei due casi, la volontà e la personalità del partecipe."

Trattasi evidentemente di un intervento di enorme rilievo soprattutto perché fondato sull'affermazione del diritto del malato di chiedere, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 219/2017, la sospensione delle cure a cui è sottoposto.

Cassazione sull'istigazione al suicidio

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L'istigazione al suicidio, come definita dalla Cassazione nella sentenza n. 48360/2018 è un "reato commesso con violenza contro la persona, dal momento che l'istigazione rappresenta una forma subdola di coartazione della volontà, idonea a sopraffare - o comunque a condizionare - l'istinto di conservazione della persona."

In una precedente sentenza di grande rilievo, la n. 57503/2017 la Cassazione ha invece chiarito che l'art. 580 c.p.: "punisce l'istigazione al suicidio e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato a condizione che la stessa venga accolta e suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L'ambito di tipicità disegnato dal legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell'istigazione in quanto tali contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie, come ad esempio quelle previste dagli articoli due 66,3 102,4 114,414 bis o 415 CP ma altresì dell'istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall'esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivano, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure più gravi fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima".


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