La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9196 del 23 aprile 2014, ha affermato che "nel caso di esercizio di funzioni riconducibili a quelle dirigenziali e di svolgimento di attività prettamente intellettuale la subordinazione non si manifesta in fatti o atti particolarmente appariscenti ben potendosi concretare in semplici direttive di massima. Per aversi subordinazione non è necessario, cioè, che il potere direttivo del datore di lavoro si esplichi mediante ordini continui, dettagliati e strettamente vincolanti, né che risulti continua, stringente ed appariscente la vigilanza sull'attività svolta dal lavoratore, ma l'assoggettamento può realizzarsi anche rispetto ad una direttiva dettata dall'imprenditore in via programmatica o soltanto impressa nella struttura aziendale, assumendo, invece, particolare rilevanza l'inserimento continuativo ed organico di tali prestazioni nell'organizzazione dell'impresa".

Nel caso di specie la Corte d'appello, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva rigettato l'opposizione avverso la cartella esattoriale notificata a cura dell'INPS ad una Società precisando che il credito dell'Istituto traeva origine dal verbale degli ispettori che avevano affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed un consulente, addetto alle mansioni di gestore e coordinatore di un supermercato, sebbene risultasse stipulato tra la stessa Società e la Società di cui il lavoratore era socio, un contratto di consulenza.

La Corte di merito - si legge nella sentenza - ha rilevato che dalle dichiarazioni rese dal consulente agli ispettori risultavano specificate le mansioni svolte che consentivano di affermare lo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e il vincolo di subordinazione, l'indispensabilità del suo lavoro e la sua infungibilità con gli altri soci, il suo ruolo di vertice nell'organizzazione aziendale e la sovraordinazione rispetto al restante personale; la continuità e omogeneità del compenso, l'assenza di rischio.

La Società ricorrente, lamentando che la Corte non ha ritenuto di ammettere la prova testimoniale dalla quale avrebbero potuto desumersi elementi che consentivano di escludere la subordinazione e che cioè il consulente non aveva orario, non era inserito in turni di lavoro, non era tenuto a giustificare assenze o malattie, lavorava anche per altri e circa 10/20 volte aveva mandato un sostituto quando si era assentato.

La Suprema Corte rileva, a tal proposito, che "non sono dirimenti gli eventuali margini, più o meno ampi, di autonomia e di discrezionalità dei quali il dipendente goda, quali quelli individuati nella specie, aventi carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria senza assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, assumendo, invece, valore determinante la continua dedizione funzionale della energia lavorativa del consulente al risultato produttivo perseguito dall'imprenditore che ne imponeva la presenza giornaliera presso il punto vendita e l'inserimento stabile nell'organizzazione dello stesso."


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