di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione seconda, sentenza n. 4581 del 26 Febbraio 2014. Il lodo arbitrale, inteso come provvedimento adottato a seguito di esperimento di arbitrato rituale o irrituale, può essere impugnato innanzi al giudice ordinario - nella specie, la Corte d'appello - ai sensi dell'art. 827 c.p.c. (per nullità, revocazione o opposizione di terzo) solo per vizi ben precisi. Questi sono elencati all'art. 829 c.p.c. e consistono, nello specifico, in avvenimenti collegati alla volontà negoziale - esistente a monte, all'atto di stipula di convenzione di arbitrato o di sottoscrizione di clausola arbitrale - quali l'errore, la violenza, il dolo o l'incapacità a contrarre delle parti che hanno conferito l'incarico, nonché l'incapacità accertata dello o degli stessi arbitri.


Proprio sulla base di tale principio di diritto la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto da una società, destinataria di contratto di appalto per la costruzione di edilizia residenziale pubblica, risultata soccombente nel lodo emanato a seguito di arbitrato irrituale (nella specie, condannata al risarcimento del danno nei confronti della stazione appaltante) poiché, in corso di causa di merito, non avrebbe sufficientemente provato alcun esistente vizio tra quelli sopra elencati. Nè sarebbero stati ravvisati vizi intrinseci del procedimento arbitrale, quale, ad esempio, il difetto di contraddittorio. Unica eccezione alla regola generale sopra enunciata è costituita dalle controversie ex art. 409 c.p.c., cioè le controversie individuali di lavoro. Solo in questo caso il lodo può essere impugnato per violazione di regole di diritto.


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