di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 12561 del 22 Maggio 2013. L'art. 2119 cod. civ. riporta come motivo di licenziamento individuale il verificarsi di una circostanza che "non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto". La giusta causa di licenziamento

è oggetto di rigorosa interpretazione e pone il giudice nelle condizioni di valutare la correttezza d'applicazione in ogni singolo caso concreto. Nel caso di specie il datore di lavoro ha disposto la sanzione del licenziamento per il dipendente poiché non idoneo a ricoprire il ruolo assegnatogli: la dirigente psicologo, oltre a non essere in grado di eseguire correttamente le proprie mansioni, non è stata capace di relazionarsi con gli altri colleghi con cui era entrata in contatto, ostacolando il lavoro altrui.

 

Il datore di lavoro, in ogni grado di merito, è stato in grado di produrre adeguata prova a sostegno della propria decisione di recesso unilaterale.

Di conseguenza la Suprema Corte non ha ravvisato alcun tipo di fondamento nel ricorso promosso dal lavoratore licenziato. La Cassazione, una volta rilevata la correttezza del procedimento e la legittima assunzione del materiale probatorio, verificata la ragionevolezza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non può entrare nel merito della decisione del giudice d'appello; e nemmeno la ricorrente ha mai contestato alcun vizio di legittimità del formale procedimento di intimazione al licenziamento. Il ricorso viene così rigettato, confermando il principio per cui la decisione del datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro subordinato, ove ragionevole e sorretta da prove adeguate, assume la caratteristica di giusta causa richiesta dall'ordinamento.

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