di Licia Albertazzi - Sentenza Cassazione Penale, n. 9847 del 1 marzo 2013
Il nostro ordinamento prevede che, in determinate situazioni, uno degli elementi fondanti del reato (sussistenza del nesso causale, antigiuridicità della condotta, imputabilità, punibilità) venga meno, impedendo di conseguenza l'integrarsi della fattispecie criminosa o, in ogni caso, la condanna del soggetto agente. Se le cause di giustificazione operano in casi ristretti (ex artt. 50 e seguenti c.p. esse sono tassativamente elencate) la capacità di intendere e di volere è invece il presupposto necessario ai fini della valutazione di imputabilità del soggetto agente: egli, al momento della commissione del reato, deve essere in grado di comprendere il significato delle sue azioni, di prevederne le conseguenze e di indirizzare i propri impulsi al fine di commettere il reato.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha rigettato l'appello proposto dall'imputato che avrebbe commesso il fatto illecito dopo aver assunto sostanze stupefacenti. Motivava la difesa l'adozione di tale comportamento a causa della presenza nel soggetto di un disturbo della personalità: l'imputato sarebbe stato affetto dal disturbo di tipo borderline. La difesa ha provveduto a produrre in giudizio perizie mediche indicanti alcuni dei caratteri propri di questa malattia, a suo dire riscontrabili nell'imputato; la Corte non ha ritenuto tuttavia sufficienti tali prove, escludendo che il disturbo della personalità di tipo borderline accertato dal perito fosse di intensità tale da far configurare un'autonoma causa di esclusione della capacità di intendere e di volere.
Testo della sentenza 9847/2013

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