La capacità di intendere e di volere ex art. 85 del codice penale è causa di imputabilità

Cos'è la capacità d'intendere e di volere

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La capacità d'intendere e di volere è letteralmente richiamata dall'art. 85 del codice penale. Questo articolo dispone che solo il soggetto in grado di distinguere il lecito dall'illecito e di autodeterminarsi nel compiere certe azioni è imputabile dal punto di vista penale. Non è infatti imputabile penalmente per la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato il soggetto che non è imputabile e quindi non è dotato della capacità d'intendere e di volere nel momento in cui commette il fatto.

Capacità d'intendere e volere e imputabilità

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Per il codice penale la capacità d'intendere e di volere è collegata strettamente al concetto d'imputabilità del soggetto che commette un reato. Ci sono infatti delle condizioni specifiche del soggetto che incidono sulla sua capacità d'intendere e di volere e di conseguenza sulla sua imputabilità, che in alcuni casi è esclusa totalmente, mentre in altri è solo "diminuita".

Ai fini della responsabilità penale del soggetto, solo nelle seguenti ipotesi tassative la capacità d'intendere e volere è eliminata o compromessa, con conseguenti riflessi sulla imputabilità:

  • art. 88 c.p: vizio totale di mente;
  • art. 89 c.p: vizio parziale di mente;
  • art. 91 c.p: ubriachezza e intossicazione da sostanze stupefacenti derivanti da caso fortuito o da forza maggiore;
  • art. 95 c.p: cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti;
  • art. 96 c.p: sordomutismo determinante l'incapacità d'intendere e di volere;
  • art. 97 c.p.: minore età degli anni 14;
  • art. 98 c.p: immaturità del soggetto di età compresa tra i 14 e i 18 quando ha determinato l'incapacità d'intendere e di volere.

Capacità d'intendere e di volere ed elemento psicologico del reato

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La capacità d'intendere e di volere si può manifestare penalmente nelle tre forme di colpevolezza contemplate ossia il dolo, la colpa e la preterintenzione, che rappresentano i criteri d'imputazione dei reati.

L'art. 43 c.p li definisce nel seguente modo: "il delitto:

  • è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;
  • è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente;
  • è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline."

Analizzando la lettera della norma è evidente che il dolo è la forma più grave d'imputabilità perché il soggetto agente comprende, prevede e vuole che l'evento dannoso si realizzi. Nel momento in cui commette l'atto la capacità d'intendere e di volere, ossia di comprensione delle conseguenze e la volizione delle stesse sono piene, con conseguenze punitive a suo carico più gravi rispetto a chi commette un reato con preterintenzione o con colpa.

La capacità d'intendere e di volere nell'anziano

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L'età avanzata non esclude automaticamente l'imputabilità del soggetto, in quanto non è sempre detto che la sua capacità d'intendere e di volere subisca una compromissione a causa del passare del tempo. Di recente la Cassazione, con la sentenza n. 8585/2020, ha infatti rigettato l'istanza avanzata dal difensore di un ultraottantenne (condannato alla pena detentiva per il reato di atti sessuali con un minore) finalizzata a ottenere i domiciliari.

Per gli Ermellini la legge "prescrive il divieto di detenzione inframuraria dell'ultrasettantenne sempre che vi sia una concorrente condizione, appunto d'inabilità anche parziale, che determini una situazione d'incompatibilità, e prende in considerazione come fattore ostativo alla prosecuzione della detenzione carceraria, quale che sia l'età della persona."

Chiaro quindi che non ci sono limiti di età per essere ritenuti responsabili di un reato, se nel momento in cui viene commesso si ha la capacità d'intendere e volere. A rilevare è piuttosto lo stato di salute della persona. L'età può portare, per così dire, a un trattamento di favore, solo per quanto riguarda la pena da scontare, ma anche qui, attenzione, non è prevista la detenzione domiciliare in modo automatico, occorre infatti che si verifichino le ipotesi contemplate dall'art. 47 ter dell'ordinamento penitenziario e che il soggetto abbia superato i 70 anni di età.

Chi stabilisce la capacità d'intendere e di volere?

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Lo stato d'incapacità d'intendere e di volere ai fini della responsabilità penale, viene spesso invocato dalla difesa per evitare l'imputabilità del reato. Per questo non è infrequente che venga nominato un esperto per eseguire una perizia psichiatrica sulla persona dell'imputato, se si ritiene che lo stesso possa essere affetto da una patologia in grado di eliminare o comunque diminuire la sua capacità d'intendere e di volere.

L'art. 220 c.p.p al comma 2 infatti precisa che non sono ammesse perizie "per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche."

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