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Interdizione dai pubblici uffici

L'interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria che limita la capacità del reo nel compimento di incarichi o uffici pubblici


Quando si ha interdizione dai pubblici uffici

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L'interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria ai sensi dell'art. 19 c.p.

Si tratta, più precisamente, di una pena limitativa della capacità di esercitare diritti e assumere incarichi o uffici di natura pubblicistica, prevista in considerazione alla gravità del delitto o alla pericolosità del reo, che risponde alla ratio di sottrarre il condannato alla recidiva specifica (art. 28 c. 2 nn. 1, 2, 3 c.p.), esprimere un giudizio di indegnità (art. 28 c. 2 nn. 4, 6, 7 c.p.) o esplicare un effetto afflittivo ulteriore (art. 28 c. 2 n. 5 c.p.).

Cosa prevede l'interdizione dai pubblici uffici

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L'interdizione dai pubblici uffici, secondo quanto disposto dall'art. 28 c.p., salvo che la legge disponga altrimenti, priva il condannato:

Quali sono i reati che prevedono l'interdizione dai pubblici uffici

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L'interdizione dai pubblici uffici opera automaticamente in caso di condanna all'ergastolo o alla reclusione non inferiore ai cinque anni e nelle ipotesi di delinquenza abituale, professionale o per tendenza. Si tratta di una sanzione accessoria prevista unicamente per fattispecie delittuose di natura dolosa, giusta il disposto dell'art. 33 c.p. che esclude l'applicabilità dell'art. 29 c.p. alle condanne per delitti colposi.

Concetto che la Cassazione a ribadito nella sentenza n. 22280/2022, chiarendo che: "L'art. 33 cod. pen., infatti, espressamente esclude l'applicabilità dell' art. 29 (casi nei quali alla condanna segue la interdizione dai pubblici uffici) e del secondo capoverso dell'art. 32 (interdizione legale in ipotesi di condanna a pene temporanee) nel caso di condanna per delitto colposo, limitando quella dell'art. 31 (condanna per delitti commessi con abuso di pubblico ufficio, professione o arte) alle ipotesi di condanna per delitto colposo a pena inferiore a tre anni di reclusione o alla sola pena pecuniaria."

Ai fini dell'irrogazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell'entità della pena come risultante dalla condanna, senza operare alcuna distinzione tra attenuanti di merito e attenuanti meramente processuali o premiali.

L'applicabilità della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici in conseguenza della riduzione della pena determinata dalla applicazione di riti premiali si desume dalla Cassazione n. 30285/2021 "in caso di patteggiamento di una pena detentiva superiore ai due anni devono essere necessariamente applicate le pene accessorie obbligatorie per legge, a nulla rilevando che non se ne faccia menzione nell'accordo tra le parti (...)Va poi evidenziato, da un lato, che l'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, a norma dell'art. 29 cod. pen., è pena accessoria prevista come conseguenza automatica di una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore ai tre anni, e, dall'altro, che, nella specie, il ricorrente è stato condannato con sentenza di patteggiamento alla sanzione di tre anni di reclusione, oltre che a quella di 14.000,00 euro di multa."

Al contrario la disapplicabilità della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici in presenza di pena ridotta in virtù di riti premiali la si desume dalla Cassazione n. 38396/2022, in quanto "Una volta che la pena detentiva è rideterminata in misura concretamente inferiore al limite di anni tre di reclusione, va eliminata anche la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, secondo quanto concordemente affermato nella giurisprudenza di legittimità in forza del principio per il quale "ai fini dell'applicazione all'esito del giudizio abbreviato della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, deve sempre aversi riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito" (Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998)."

In caso di reato continuato infine, deve farsi riferimento alla pena principale inflitta per il reato più grave e non anche della continuazione (cfr. Cass. n. 27700/2007).

Interdizione temporanea o perpetua

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In ragione della durata, l'interdizione dai pubblici uffici può essere temporanea, se prevista per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni, ovvero perpetua.

Per espressa previsione dell'art. 29 c.p., l'interdizione temporanea, quando comminata automaticamente in conseguenza di pena reclusiva non inferiore a tre anni, ha una durata fissa pari a cinque anni; se, invece, la pena detentiva è inferiore a tre anni, la durata della pena accessoria interdittiva ha durata pari a quest'ultima nel rispetto del limite minimo di un anno fissato dall'art. 28 c. 4 c.p.

Ai sensi dell'art. 31 c.p., l'interdizione temporanea è prevista anche in caso di condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri, violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, un pubblico servizio o degli uffici di tutore e curatore di cui all'art. 28 c. 2 n. 3 c.p.

Al condannato minore d'età, ex art. 98 c. 2 c.p., è applicabile la sola interdizione dai pubblici uffici temporanea, sempre che la pena detentiva inflitta sia superiore a cinque anni.

In caso di interdizione dai pubblici uffici prevista quale sanzione accessoria per determinate fattispecie di reato, in assenza di precisa indicazione della sua durata, la stessa deve intendersi come temporanea, con durata pari a quella della pena principale inflitta e comunque non inferiore ad un anno (cfr. Cass. n. 10108/1997).

Esecuzione e cessazione dell'interdizione dai pubblici uffici

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L'esecuzione dell'interdizione dai pubblici uffici non decorre automaticamente dal passaggio in giudicato della sentenza. Essa richiede un impulso da parte del Pubblico ministero in base a quanto sancito dal comma 1 dell'art. 662 c.p.p. A sancirlo la Cassazione n. 39004/2022, che ha sottolineato un aspetto rilevante ai fini della applicazione della misura accessoria della interdizione dai pubblici uffici: "testuale nel dettato normativo la previsione dell'incidenza della pena accessoria sulla capacità giuridica del condannato con riferimento, sia ad uffici, servizi, diritti e funzioni che ricopre ed esercita al momento della pronuncia di condanna, sia a quelli che potrebbe assumere nel periodo di durata della sanzione. In questa prospettiva non può ritenersi che sia superflua l'iniziativa promotrice dell'esecuzione da parte del pubblico ministero per essere rimessa alla sola condotta del soggetto sottoposto a pena complementare la relativa esecuzione e l'astensione dal compimento di comportamenti inibiti." Questo perché "L'iniziativa del pubblico ministero, a prescindere dalle modalità concrete con le quali venga adottata, è funzionale a consentire a quanti siano coinvolti nell'esecuzione - forze dell'ordine, pubbliche amministrazioni, enti privati interessati- di avere conoscenza del titolo esecutivo, del suo contenuto, delle prescrizioni inerenti la pena ulteriore rispetto a quella principale (...) Per quanto l'art. 662 c.p.p., non imponga forme tipiche e cogenti per la trasmissione dell'estratto della sentenza di condanna, né stabilisca il momento nel quale si deve dare attuazione alle predette sanzioni, tuttavia pretende che anche la relativa espiazione riceva impulso dall'attivazione del pubblico ministero (...).

Gli effetti della sanzione accessoria interdittiva, in ogni caso, cessano in conseguenza della morte del reo, della riabilitazione, dell'amnistia, dell'indulto o della grazia se previsto dalla legge.

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Data: 30/10/2022 10:00:00
Autore: Laura Bazzan