"Ai fini dell'accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l'assegnazione della pensione di inabilità agli invalidi civili assoluti, di cui all'art. 12 della legge n. 118 del 1971, assume rilievo non solamente il reddito personale dell'invalido, ma anche quello (eventuale) del coniuge del medesimo, onde il beneficio va negato quando (…) l'importo di tali redditi, complessivamente considerati, superi il limite determinato con i criteri indicati dalla norma in parola". E' quanto affermato dalla Sezione lavoro della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 4677 del 25 febbraio 2011, ha rigettato il ricorso proposto da una donna avverso la pronuncia della Corte d'Appello; quest'ultima, confermando la sentenza
di primo grado, aveva rigettato la domanda della donna di pensione di inabilità civile sulla base del superamento dei limiti previsti per il requisito economico, cumulando alla pensione richiesta i redditi del coniuge. La Suprema Corte ha ritenuto giuridicamente corretto l'orientamento ermeneutico seguito dai giudici di merito ed ha respinto la tesi costituzionalmente orientata richiamata dalla ricorrente, secondo cui, dopo l'introduzione dell'art. 14 septies della legge 33/1980, anche per la pensione di inabilità deve farsi esclusivo riferimento al reddito personale dell'assistito. Gli Ermellini hanno invece condiviso un principio espresso da un più risalente indirizzo in forza del quale, ai fini dell'accertamento del requisito reddituale previsto per l'attribuzione della pensione di inabilità, deve tenersi conto anche della posizione reddituale del coniuge dell'invalido in conformità con i generali criteri del sistema di sicurezza sociale, che riconoscono alla solidarietà familiare una funzione integrativa dell'intervento assistenziale pubblico. Non può trovare invece applicazione la regola della esclusione dal computo dei redditi percepiti da altri componenti del nucleo familiare dell'interessato.

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