La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 41917/2008) ha stabilito che per l'imprenditore accusato di aver emesso assegni falsi, non scatta il sequestro dei conti bancari se tali assegni sono riferiti ad affari diversi da quelli della sua società. In particolare la Corte ha osservato che, secondo l'art. 321 primo comma c.p.p. "il sequestro preventivo può avere ad oggetto cose pertinenti al reato, quando vi è pericolo che la loro libera disponibilità da parte dell'indagato possa aggravare ovvero protrarre le conseguenze del reato, ovvero agevolare la commissione di altri reati. Le condizioni di applicabilità di tale misura cautelare sono pertanto due e cioè: - che si tratti di cose pertinenti al reato; - che, inoltre, possa ravvisarsi il pericolo che la libera disponibilità di tali cose da parte dell'indagato aggravi o protragga le conseguenze del reato ovvero agevoli la commissione di altri reati".
"Le cose pertinenti al reato - prosegue la Corte -, che possono formare oggetto di sequestro preventivo ben possono essere, come nel caso in esame, somme di denaro. E' tuttavia necessario che trattasi di somme di danaro per le quali sia in qualche modo riconoscibile la relazione immediata con il reato, che si assuma essere stato commesso dall'indagato. Non possono quindi formare oggetto della misura cautelare in esame le somme di denaro, per le quali non è ravvisabile detta contiguità e che ormai si sono confuse con il restante patrimonio del soggetto".

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