Non è desumibile, invece, dalla mera circostanza della permanenza del conduttore nella detenzione del bene locato oltre la scadenza del termine

La rinnovazione tacita del contratto di locazione deve essere desunta da elementi idonei a dimostrare in modo inequivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo, con la rinuncia tacita, da parte del locatore, "agli effetti  prodotti dalla scadenza del contratto". Non è desumibile, invece, dalla mera circostanza della permanenza del conduttore nella detenzione del bene locato oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall'accettazione dai canoni, né tantomeno dal ritardo con il quale venga promossa l'azione di rilascio.

È quanto ha affermato la Corte di Cassazione, con sentenza n. 22234 del 20 ottobre 2014, ribadendo l'orientamento ampiamente consolidato in materia (cfr., ex multis, Cass. n. 27731/2005), in un vicenda riguardante la chiamata in giudizio da parte di un privato nei confronti della società locatrice (la Patrimonio dello Stato S.p.A.) per sentire dichiarare sussistente il diritto di prelazione e riscatto ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/78 su un immobile in forza di un precedente titolo di locazione alberghiera.

I giudici di merito avevano ritenuto l'insussistenza di un rapporto di locazione tra le parti, giacchè escluso da pronuncia passata in giudicato di ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, e non presente, pertanto, alcun titolo legittimante l'esercizio della prelazione. A prescindere dalla riconducibilità del rapporto tra le parti allo schema del contratto

di affitto di azienda o a quello della locazione alberghiera, come sostenuto dal ricorrente, per la corte di merito rimaneva determinante il fatto che l'avvenuta cessazione del rapporto in questione era stata affermata con sentenza passata in giudicato e che "in mancanza di qualsiasi prova della rinascita del rapporto stesso o della nascita di altro rapporto, tale pronuncia doveva necessariamente fare stato tra le parti ai sensi dell'articolo 2909 c.c.".

Al momento della vendita dell'immobile, dunque, non sussistevano elementi per ritenere che, pur nel protrarsi per anni della detenzione dell'immobile, tra le parti fosse intervenuto un nuovo titolo contrattuale di locazione costituente il necessario presupposto per l'esercizio della prelazione e del riscatto ex artt. 38 e 39 della l. n. 392/78.

Condividendo la ratio decidendi della corte territoriale, la S.C. ha osservato che, una volta assodato che l'originario rapporto contrattuale era venuto meno, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, non essendo provata né la conclusione di un rapporto di locazione nuovo né la rinnovazione tacita del precedente (giacchè non era dimostrata la rinuncia tacita del locatore agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto, anzi, nella specie, la rinuncia era contraddetta dall'ampio contenzioso sviluppatosi negli anni tra le parti), il "diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 non spetta alla parte conduttrice una volta che siano cessati gli effetti del contratto di locazione, risultando al riguardo irrilevante la sua eventuale successiva posizione di detentrice di fatto dell'immobile già oggetto della locazione". 

Corte di Cassazione - testo sentenza 20 ottobre 2014, n. 22234

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