Le aree di parcheggio a pagamento devono essere alternate o immediatamente vicine ad altrettante adeguate aree gratuite
Dott. Cristian Montalbano Mediatore Civile e Commerciale

Le aree di parcheggio a pagamento, delimitate dalle c.d. "strisce blu" devono essere alternate o immediatamente vicine ad altrettante adeguate aree destinate a parcheggio "senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta".

Ciò significa che se gli enti locali non adempiono all'obbligo di garantire una distribuzione "equa" dei parcheggi gratis e a pagamento (fatta eccezione per le aree pedonali, le zone a traffico limitato o dichiarate, con apposita delibera, di particolare rilevanza urbanistica), qualsiasi contravvenzione, elevata per il mancato pagamento (e la relativa esposizione) del ticket attestante il versamento delle somme dovute per la sosta, è illegittima.

Lo prevede la legge, all'art. 7, comma VIII, del Codice della Strada e ne sono convinti da molto tempo anche i giudici.

Cosa dice la giurisprudenza - la rivoluzionaria sentenza delle Sezioni Unite

Sul punto, oltre alle diverse pronunce di legittimità (cfr. Cass. n. 16237/2006) e di merito (cfr., ex multis, Trib. Roma n. 16885/2012), sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la rivoluzionaria sentenza n. 116/2007.

Rilevando preliminarmente l'infondatezza della questione di giurisdizione sollevata dall'amministrazione comunale di Quartu Sant'Elena avverso la sentenza del giudice di pace di Cagliari, il quale, in accoglimento del ricorso di un utente, dichiarava la nullità e l'inefficacia dei verbali di accertamento e contestazione per sosta vietata impugnati, la S.C. ha affermato che "il giudice non ha esercitato un inammissibile controllo su scelte di merito rimesse all'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione, ma ha solo rilevato vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento, consistenti nella violazione dell'obbligo di prevedere anche aree di parcheggio libero".

In materia di controversie aventi ad oggetto il pagamento di sanzioni amministrative per violazione delle norme che regolano la sosta dei veicola, la giurisdizione spetta infatti al giudice ordinario "essendo in contestazione il diritto del cittadino di non essere sottoposto al pagamento di somme al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, ferma restando la possibilità per il giudice ordinario di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi posti a base della pretesa sanzionatoria".

Per i suddetti motivi, la Corte ha quindi rigettato il ricorso dell'amministrazione comunale, confermando la giurisdizione del giudice ordinario e sancendo in via definitiva la nullità del "verbale di accertamento e contestazione per sosta vietata in un'area di parcheggio a pagamento se nella zona non è presente anche un'area di parcheggio libera", in violazione dell'art. 7, comma 8, C.d.s.

Il principio è stato ribadito e confermato unanimemente dalla giurisprudenza successiva, tra cui, da ultimo, dalla Cassazione con sentenza n. 18575/2014 (vai all'articolo "La Cassazione ribadisce: illegittime le multe su strisce blu se non ci sono aree di parcheggio gratuite" - su questo portale).

La situazione attuale nei centri urbani

Ciò non ha impedito, nonostante la richiesta di applicazione della norma di legge invocata da parte di diverse associazioni di consumatori e la copiosa e consolidata giurisprudenza in materia, il proliferare dei parcheggi a pagamento in tutte le città italiane, con situazioni che soprattutto nei centri più grandi sfiorano il paradosso (stando ai dati oltre l'80% delle strisce blu presenti sul territorio nazionale non sono regolari), nonché l'elevazione di multe illegittime, complessivamente, per milioni e milioni di euro.

Ma, se il cittadino, spesso, spinto dall'eccessiva onerosità dei costi cui andrebbe incontro instaurando una causa, sceglie il "male minore" di pagare la sanzione senza far valere le proprie istanze, è suo diritto legittimo proporre ricorso, impugnando il verbale di contravvenzione davanti al giudice di pace o al prefetto (rispettivamente entro trenta o sessanta giorni dalla data della contestazione immediata o della notifica del verbale) del luogo in cui si è verificata la presunta infrazione per chiederne l'annullamento, dimostrando l'illegittimità della multa elevata.

L'onere della prova

Secondo il principio consolidato in tema di violazioni del codice della strada, infatti, "è onere del trasgressore che proponga, avverso l'atto di accertamento della contravvenzione di sosta in zona di parcheggio a pagamento senza esposizione del relativo tagliando, opposizione fondata sulla asserita illegittimità dell'ordinanza comunale istitutiva del parcheggio a pagamento, dedurre e dimostrare le ragioni di tale illegittimità - e, quindi, della sussistenza delle condizioni per l'esercizio del potere di disapplicazione del giudice ordinario - e non già onere dell'amministrazione provare la legittimità del relativo provvedimento, che adottato ai sensi dell'art. 7 codice della strada, si presume conforme a legge" (Cass. n. 6005/2006; n. 1406/2004; n. 23306/2004).

Ai fini dell'adempimento dell'onere probatorio, in ordine alla censura di mancata osservanza del requisito di legittimità costituito dalla messa a disposizione nelle immediate vicinanze di un'area di parcheggio libero, il ricorrente dovrà produrre in giudizio, gli "atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria", ovvero l'ordinanza comunale indicante gli spazi che l'ente ha riservato sia ai parcheggi liberi (le c.d. strisce bianche) sia a quelli a pagamento, non essendo sufficiente il richiamo ai corretti principi di carattere generale, per consentire al giudice di valutare la configurabilità del vizio lamentato, né la produzione della mera "documentazione fotografica" (Cass. n. 14980/2013).

 


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