La chiusura del fallimento

Il capo VIII del titolo dedicato al fallimento concerne la chiusura della procedura fallimentare. Ai sensi dell'art. 118 L.F., novellato dalla riforma, diverse possono essere le circostanze che danno luogo alla conclusione dell'iter della procedura fallimentare.

Esse sono, in primo luogo, la mancanza di domande di ammissione al passivo entro il termine fissato; in secondo luogo, il raggiungimento dell'intero ammontare dei crediti ammessi con le ripartizioni ai creditori, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo, ovvero l'estinzione, secondo altre modalità, di tutti i crediti ammessi e il contestuale pagamento di tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione.

Il fallimento si chiude, altresì, quando si verifica l'ipotesi diametralmente opposta a quella appena vista, ossia allorché nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura; ovvero, quanto è stata compiuta la ripartizione finale dell'attivo.

Al verificarsi di uno dei suddetti eventi, ove si tratti di fallimento di società, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese.

Il comma due dell'art. 118 L.F., precisa inoltre che la chiusura della procedura di fallimento della società determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell'art. 147 L.F., salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di fallimento come imprenditore individuale.

Il D.L. n. 83 del 27/06/2015, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 6/08/2015, attraverso la modifica del comma 2 dell'art. 118, ha previsto che la chiusura di fallimento per l'integrale ripartizione dell'attivo, contemplato dal punto 3) dell'art 118 non è ostacolata dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore resta legittimato processualmente ai sensi dell'art 43 della L.F., anche nei successivi gradi di giudizio. Se poi i giudizi pendenti si chiudono in via conciliativa o transattiva, le rinunzie e le transazioni (in deroga all'art 35 L.F) non vengono autorizzate dal comitato dei creditori, ma dal giudice delegato. Poiché, in questi casi, matureranno nella fase successiva alla chiusura del fallimento diversi costi processuali, la norma precisa che i costi dei giudizi pendenti e le somme ricevute dal curatore in virtù di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, vengono trattenute dal curatore, ai sensi dell'art. 117 comma 2 L.F. Chiusa la procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità stabilite dal Tribunale con decreto motivato. Per quanto riguarda le eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento. Se alla conclusione dei giudizi pendenti consegue, per effetto di riparti, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui al comma 2 art. 142, il debitore può chiedere l'esdebitazione l'anno successivo al riparto che lo ha determinato.

Secondo il disposto di cui all'art. 119 L.F., la chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore o del debitore ovvero di ufficio e, qualora venga effettuata prima dell'approvazione del programma di liquidazione, il tribunale decide dopo aver sentito il comitato dei creditori e il fallito.

Contro il decreto che dichiara la chiusura del fallimento o ne respinge la richiesta è ammesso reclamo innanzi alla corte d'appello entro 10 giorni dall'avvenuta comunicazione o notificazione, a norma dell'art. 26 L.F. Il decreto di chiusura acquista efficacia, una volta decorso il termine per il reclamo senza che questo sia stato proposto, ovvero quando lo stesso è stato definitivamente rigettato.

Con la chiusura, ex art. 120 L.F., "cessano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e le conseguenti incapacità personali", oltre a decadere gli organi preposti alla procedura.

Le azioni esperite dal curatore per l'esercizio di diritti derivanti dal fallimento, inoltre, non possono essere proseguite, mentre, parallelamente, i singoli creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti (salvo quanto previsto dagli artt. 142 e ss.). Sempre in virtù della riforma del 2015, nell'ipotesi in cui il fallimetno si chiude in pendenza di giudizi ai sensi dell'articolo 118, comma 2, periodo 3 e seguenti, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto e i creditori in nessun caso possono agire su quanto e' oggetto dei giudizi medesimi.

Entro cinque anni dal decreto di chiusura, su istanza del debitore o di qualunque creditore, laddove risulti che nel patrimonio del fallito esistano attività o garanzie tali da poter soddisfare almeno il 10% dei creditori vecchi e nuovi, il tribunale, secondo quanto previsto dall'art. 121 L.F. può ordinare la riapertura del fallimento già chiuso, richiamando o nominando di nuovo gli organi fallimentari (curatore e giudice delegato), tenendo conto, per quanto concerne il comitato dei creditori, anche dei nuovi creditori.

Le novità del disegno di legge 2681/2017

In virtù del disegno di legge delega 2681 uno dei principi a cui il Governo dovrà improntare la riforma delle procedure concorsuali riguarda la previsione di misure acceleratorie tese ad una chiusura rapida della procedura di liquidazione, che andrà a sostituire quella fallimentare.

Al curatore e non più al giudice delegato, dovrà essere affidata la fase del riparto dell'attivo. L'esecutivo dovrà inoltre integrare la disciplina della procedura di liquidazione in relazione ai procedimenti giudiziari pendenti, in cui sia parte il curatore. Altri principi sono dedicati al ruolo del curatore dopo la chiusura della fase di liquidazione. E' previsto inoltre che il curatore conservi la legittimazione processuale esclusiva nei giudizi pendenti e che possa mantenere aperta la Partita Iva anche dopo la chiusura della liquidazione, in presenza di procedimenti giudiziari pendenti.

Il disegno di legge prevede infine che il Governo adotti particolari misure per la “chiusura della procedura relativa a società di capitali, nei casi di cui ai numeri 1) e 2) del primo comma dell'articolo 118 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267�?.

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