Salva la norma che aveva permesso agli inquilini di pagare un importo pari a tre volte la rendita catastale

Avv. Luisa Foti - La Consulta salva la norma che ha permesso agli inquilini che avevano denunciato gli affitti in nero tra il 2011 e il 2015 di pagare un importo pari a tre volte la rendita catastale. Il giudice delle leggi è arrivato a questa conclusione con la sentenza n. 87 del 2017 (qui sotto allegata) con la quale ha rigettato la questione sollevata dal Tribunale di Roma sulla norma - art. 1, comma 59, n. 5, della legge di stabilità del 2016 - che permette agli inquilini che tra il 2011 e il 2015 hanno denunciato il loro affitto in nero, di pagare un importo pari a tre volte la rendita catastale, quale indennità di occupazione per gli alloggi affittati senza contratti registrati.

Si tratta della norma introdotta per sanare una situazione sfornita di base legale, in seguito alle due sentenze della Consulta che aveva annullato le norme sull'affitto diminuito e cioè le norme che avevano permesso, in caso di affitto in nero e di denuncia di tale irregolarità, di pagare l'affitto in una percentuale diminuita fino all'80%.

In seguito alla dichiarazione di incostituzionalità di quella legge, i proprietari avrebbero quindi potuto chiedere le differenze tra gli importi effettivamente pagati dagli inquilini e quanto stabilito dai contratti. Ma il legislatore aveva rimediato approvando una disposizione che prevedeva il pagamento di un'indennità di occupazione coincidente con gli importi già pagati a titolo di canone.

La cedolare secca, la successione delle leggi nel tempo e il ricorso dei proprietari

La vicenda nasce con l'approvazione della legge sulla cosiddetta cedolare secca con la quale gli inquilini con affitti in nero o registrati per importi inferiori o con registrazione tardiva, potevano denunciare i loro locatori arrivando a pagare un canone diminuito fino all'80 %.

Nel 2014, però, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale tale norma con la sentenza n. 50/2014 per eccesso di delega e anche la sanatoria del 2015 era stata annullata dalla stessa Corte.

Era così intervenuto il legislatore che con la legge di stabilità del 2016, per sanare le situazioni che in forza dell'annullamento della Corte Costituzionale si trovavano senza base legale, aveva introdotto una disposizione in base alla quale i soggetti che avevano denunciato gli affitti in nero, avrebbero potuto pagare un importo pari a tre volte la rendita catastale, quale indennità di occupazione per i contratti nulli.

I proprietari avevano così impugnato quei contratti di locazione tardivamente registrati su iniziativa dei conduttori, per richiedere la condanna di questi al pagamento della differenza tra il canone pattuito e quello autoridottosi davanti al Tribunale di Roma, il quale, in qualità di giudice a quo, aveva sollevato la questione di costituzionalità della normativa approvata con la legge di stabilità del 2016, per violazione degli artt. 136 e 3 Cost.

La Corte rigetta la richiesta e "salva" gli inquilini: si tratta di un'indennità di occupazione e non di un canone

Rigettando la questione, tuttavia, con la sentenza n. 87/2017, la Corte ha così "salvato" la normativa sospettata d'essere incostituzionale, facendo in modo che gli inquilini non siano costretti a restituire la differenza tra i canoni dovuti e quanto effettivamente pagato ma solo a pagare un'indennità di occupazione come ristoro per la detenzione dell'immobile senza titolo, essendo i contratti nulli. Indennità, peraltro, che coincide con quanto già pagato dagli inquilini.

Per la Consulta, la norma della cui costituzionalità il Tribunale di Roma dubitava, si riferisce ad un'indennità di occupazione e non ad un canone: ciò permette di superare l'argomento, sostenuto dal giudice a quo, della presunta violazione del giudicato costituzionale in quanto la norma non reitera il contenuto delle disposizioni dichiarate incostituzionali e permette inoltre di superare la presunta violazione dell'art. 3 Cost. perché si tratterebbe di due fattispecie diverse riferite, l'una, ad un canone periodico di pagamento, l'altra, ad una indennità di occupazione.

Le motivazioni

- La presunta violazione del giudicato costituzionale, ex art. 136 Cost.

Secondo il giudice a quo, il legislatore, in violazione degli artt. 136 e 3 Cost., reiterando il contenuto precettivo di due norme ritenute incostituzionali nella legge di stabilità del 2016, avrebbe violato il giudicato costituzionale, in particolare (vedi sentenza 50/2014 e 169/2015)

Tuttavia, secondo la Corte, "l'odierna disposizione - l'art. 1, comma 59, punto 5, della legge di stabilità 2016 - prevede, piuttosto, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o nella misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore (…), in ragione della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque, l'assenza dei suoi effetti ab origine.

Tanto è testualmente confermato dalla disposizione censurata là dove, in questa, il riferimento al "canone di locazione dovuto" di completa con l'espressione "ovvero (da intendere in senso specificativo) "l'indennità di occupazione maturata", poiché è proprio (e soltanto) il riferimento a tale indennità che risulta coerente ed armonico rispetto alla invalidità del contratto ed alla caducazione del rapporto ex tunc, correlandosi alla detenzione dell'immobile senza titolo".

"In altri termini - ha precisato la Corte - una volta che il legislatore del 2015 si è disinteressato del ripristino dei rapporti giuridici di locazione sorti in base a contratti non registrati tempestivamente, la disciplina inerente al pagamento dell'importo annuo «pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato» non può altrimenti collegarsi che alla pregressa situazione di fatto della illegittima detenzione del bene immobile in forza di titolo nullo e privo di effetti; ed essere dunque propriamente attinente al profilo dell'arricchimento indebito del conduttore, cui è coerente il pagamento di una indennità di occupazione e non di un canone di locazione, non affatto dovuto. È significativo, in tale contesto, anche il venire meno della previsione dell'adeguamento ISTAT dell'importo dovuto, consentaneo, invero, soltanto al canone quale corrispettivo della locazione in essere"

"La (pur solo) parziale coincidenza dell'importo del parametro indennitario, previsto dalla disposizione censurata, con quello del canone legale, individuato dalle pregresse norme dichiarate costituzionalmente illegittime, non è dunque sufficiente a determinare la violazione del giudicato costituzionale, atteso, appunto, il più ampio e differente assetto disciplinatorio dettato dalle norme dichiarate illegittime — le quali avevano mantenuto intatti gli effetti di un (convalidato) rapporto giuridico locatizio, con tutti i correlativi obblighi (reciproci), legali e convenzionali, e con le eventuali ricadute sul contenzioso concernente l'attuazione del rapporto stesso — rispetto alla disciplina recata dal vigente comma 5 dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998, che quel rapporto conferma, invece, essere venuto meno ex tunc, regolandone soltanto le implicazioni indennitarie, in termini di occupazione sine titulo.

- La presunta violazione dell'art. 3 Cost.

La Corte ha infine concluso rigettando anche l'argomento della presunta violazione dell'art. 3 Cost: "quelle che il rimettente pone così in comparazione sono situazioni certamente non omogenee, attenendo la prima - in via transitoria - ad una «indennità» dovuta in correlazione ad una pregressa occupazione senza titolo, per di più qualificata dall'affidamento riposto dall'inquilino nel dettato normativo poi dichiarato costituzionalmente illegittimo, e riferendosi, diversamente, la seconda - a regime - ad un «canone» determinabile da parte del giudice «che accerta l'esistenza del contratto» (id est: l'esistenza di un contratto scritto non registrato nel termine prescritto): ipotesi, quest'ultima, che, per un verso, si diversifica da quella in precedenza disciplinata dal comma 5 dell'art. 13 nel testo originario, che aveva riguardo al solo contratto "di fatto" instaurato dal locatore, ossia al contratto verbale e, quindi, nullo per difetto di forma scritta ad substantiam; e per altro verso, ne assume la disciplina, giacché l'azione si concreta nell'"accertamento dell'esistenza" del contratto non registrato, quale operazione consentanea a rendere valido ed efficace un contratto nullo".

"In definitiva, pone tale, pur peculiare, seconda fattispecie sul piano della determinazione del corrispettivo di una locazione (recuperata in termini di validità ed efficacia), mentre la fattispecie disciplinata dalla disposizione scrutinata opera, come detto, sul diverso piano della predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'utilizzo dovuto dal conduttore per l'occupazione di un immobile senza un valido titolo locativo. Da ciò, dunque, la non fondatezza anche della censura di violazione dell'art. 3 Cost".

Corte Costituzionale, sentenza n. 87/2017

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