E per la Cassazione non basta l'indigenza del colpevole per far degradare l'imputazione a furto lieve

di Marina Crisafi - 5 mesi di carcere e 150 euro di multa. Tanto è costato il tentato furto di due confezioni di bresaola da un supermercato ad un milanese, la cui condanna è stata confermata in via definitiva dalla Cassazione (sentenza n. 11423/2017 sotto allegata).

Condannato in appello, l'uomo aveva tentato di fronte a piazza Cavour la strada dell'indigenza e dell'esiguità della tipologia di merce rubata per vedersi riconoscere la lieve entità del furto.

Ma gli Ermellini hanno confermato la sentenza dei giudici di secondo grado.

Per "far degradare l'imputazione da furto comune a furto lieve - si legge infatti nella sentenza della S.C. - non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave e indilazionabile bisogno, alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa".

Inoltre, puntualizzano dal Palazzaccio, "ai fini della sussistenza dell'ipotesi attenuata del furto commesso in stato di bisogno l'imputato avrebbe dovuto dedurre che la sottrazione era diretta al soddisfacimento di un bisogno primario, non solo sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato ma anche da un punto di vista oggettivo, essendo necessario che la cosa sottratta sia effettivamente destinata a soddisfare tale bisogno". Cosa non avvenuta nel caso di specie, dove l'unico elemento dedotto dal ricorrente per sostenere il grave ed urgente bisogno è stata la condizione di difficoltà economica desunta dall'ammissione al gratuito patrocinio, non essendo stato neppure rappresentato che la sottrazione dei generi alimentari fosse riconducibile a una seria esigenza non più procrastinabile.

Difettano dunque i tratti costitutivi della fattispecie, consistenti appunto, nella gravità del bisogno e nella sua indifferibilità. Né questi possono trarsi, come sostenuto dall'uomo, da elementi presuntivi quali la natura del bene appreso, la bresaola appunto.

Cassazione, sentenza n. 11423/2017

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