L'omissione di attività che possono essergli ragionevolmente richieste comporta l'obbligo di risarcire il cliente

di Lucia Izzo - In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, il mancato svolgimento di attività indispensabili per l'accoglimento della domanda, come la mancata indicazione di prove, costituisce manifestazione di negligenza del difensore, salvo che il predetto dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste.

E' quanto ricorda la seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25963/2015 (qui sotto allegata). Gli ermellini sono stati investiti di una vicenda riguardante la responsabilità professionale di un avvocato, incaricato dal cliente di patrocinarlo nell'ambito di una causa per l'accertamento di un diritto di servitù di acquedotto e passo.

Al professionista si contesta la negligenza nell'espletamento del mandato poiché aveva omesso di produrre in giudizio l'estratto tavolare del fondo servente, da cui emergeva l'iscrizione della servitù, e tale omissione aveva avuto rilievo esclusivo nella decisione della causa in senso sfavorevole all'assistito.

Per i giudici di merito l'avvocato è ritenuto gravemente inadempiente per l'attività di patrocinio svolta relativamente alla sola domanda di accertamento della servitù. Inutile il ricorso proposto dal patrocinatore dinnanzi agli Ermellini, per i quali l'avvocato è negligente se non svolge le attività indispensabili per l'accoglimento della domanda, tra cui l'indicazioni delle prove.

Inoltre, aggiungono i giudici "rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione dei giudice".

Correttamente il giudice d'appello ha ritenuto, nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità, "che colui che agisce in confessoria servitutis ha l'onere di fornire la prova dell'esistenza del diritto", onere che non viene meno di fronte ad ammissioni del convenuto, poiché si tratta di esistenza di un diritto reale. Rimane salva "soltanto la possibilità per il giudice di avvalersi degli elementi che scaturiscono dalle ammissioni del convenuto nella valutazione delle risultanze della prova offerta dall'attore"

Il sistema tavolare, ai fini della apponibilità ai terzi di una servitù, richiede l'iscrizione della servitù nella partita tavolare relativa al fondo servente: pertanto, a fronte dell'eccezione del convenuto di carenza di prova documentale, l'avvocato ha omesso di svolgere tutte le attività che gli potevano essere ragionevolmente richieste, in particolare mancando di produrre l'iscrizione del titolo nella partita tavolare del fondo servente.

Per quanto riguarda la domanda di manleva, proposta dal professionista nei confronti della sua compagnia assicurativa, correttamente vale quanto stabilito in prima battuta dal Tribunale e confermato in appello, ossia che "la garanzia assicurativa non era operante perché attivata dopo la conclusione del giudizio di secondo grado" che aveva rigettato la domanda del cliente risultato soccombente.

Dopo tale evento il professionista non aveva neppure informato la società di assicurazione dell'alto rischio di sinistro. Il silenzio in proposito serbato dal professionista deve ritenersi rilevante per gli effetti di cui all'art. 1892 c.c.

Vedi anche: La responsabilità professionale dell'avvocato. Un'anno di pronunce della Cassazione - Con raccolta di articoli e sentenze

Cass., II sez. civile, sent. 25963/2015

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