Dal dovere di dissuadere il cliente se la causa è infondata agli oneri probatori: guida con casistica sulla responsabilità professionale dell'avvocato

Avv. Laura Bazzan - La responsabilità professionale dell'avvocato è quella sorge in capo al legale in ragione dello svolgimento del suo mandato professionale.

Indice:

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In cosa consiste la responsabilità dell'avvocato

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Ci soffermeremo in questa sede ad analizzare la responsabilità di natura civile, con la consapevolezza che l'avvocato può essere chiamato a rispondere delle azioni compiute in quanto professionista anche a titolo penale (si pensi ad esempio ai reati di patrocinio o consulenza infedele e di altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico) e a titolo disciplinare per violazione delle norme del codice deontologico.

Fonti normative della responsabilità dell'avvocato

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Alla base della responsabilità professionale dell'avvocato c'è il contratto che lega il legale al cliente e in forza del quale il primo si impegna a prestare in favore del secondo la propria opera professionale, sia giudiziale che stragiudiziale.

Se il rapporto tra legale e cliente è regolato dagli articoli 2230 e seguenti del codice civile, che contengono le norme sul mandato, per analizzare la responsabilità professionale dell'avvocato occorre fare invece riferimento agli articoli 1176, 1218 e 2236 c.c..

I testi degli articoli del codice civile

Nel dettaglio, l'articolo 1176, che si occupa della diligenza nell'adempimento, sancisce che:

"Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata".

Ai sensi dell'articolo 1218, rubricato "Responsabilità del debitore", poi:

"Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile".

Infine, si riporta qui di seguito il testo dell'articolo 2236, specificamente dedicato alla responsabilità del prestatore di opera:

"Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave".

Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato

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Prima di addentrarci ad analizzare come può estrinsecarsi in concreto la responsabilità dell'avvocato e come la stessa va valutata, occorre chiarire che l'obbligazione che il legale assume nei confronti del proprio cliente è un'obbligazione di mezzi e non già di risultato in quanto egli si impegna a svolgere l'incarico per raggiungere il risultato sperato ma non può impegnarsi a conseguire tale risultato.

Del resto, l'esito dei procedimenti e delle controversie è spesso determinato da elementi esterni, con la conseguenza che l'avvocato non può obbligarsi al risultato di raggiungere un determinato scopo ma solo di tentare di raggiungerlo.

Ciò vuol dire che il mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente non indica, di per sé, l'inadempimento del professionista, che andrà invece valutato considerando il rispetto dei doveri che accompagnano lo svolgimento dell'attività professionale, in particolar modo del dovere di diligenza.

Come si valuta la diligenza dell'avvocato

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Per valutare la diligenza dell'avvocato, occorre far riferimento non alla diligenza del buon padre di famiglia ma al parametro di cui al secondo comma dell'articolo 1176 del codice civile.

A tal proposito, secondo quanto confermato anche dalla Corte di cassazione con sentenza numero 2954/2016, il grado di diligenza richiesto al all'avvocato è quello medio inerente alla natura dell'attività prestata "a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà: in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell'ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve" (v. Cass. n. 8470/1995).

Si precisa che l'accertamento sulla sussistenza di problemi tecnici di particolare difficoltà che la prestazione professionale eseguita sia stata chiamata a risolvere spetta al giudice del merito, il quale vi provvede con giudizio incensurabile in sede di legittimità, purché sorretto da una congrua motivazione e privo di vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 7618/1997).

L'onere della prova

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In ogni caso, il diritto al risarcimento del danno non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, dovendosi piuttosto valutare, sulla base di un giudizio probabilistico, se, in assenza dell'errore commesso dall'avvocato, l'esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto (v. Cass. n. 297/2015).

Sulla scorta di questo consolidato orientamento, con sentenza n. 1984/2016 la Cassazione ha ribadito che "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (v. Cass. n. 2638/2013).

Assume rilievo dirimente, pertanto, il "difetto allegatorio e dimostrativo circa il danno risarcibile (legato all'anzidetto giudizio prognostico), il quale, per l'appunto, non può essere confuso con l'inadempimento stesso, ma deve essere provato dall'istante quale concreto pregiudizio subito in conseguenza dell'illecito contrattuale" (Cass. n. 10698/2016).

La casistica

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Per comprendere in concreto in cosa può consistere la responsabilità dell'avvocato, esaminiamo la principale casistica.

La responsabilità dell'avvocato in caso di strategia condivisa con il cliente

Innanzitutto, con riferimento alle ipotesi in cui cliente e avvocato hanno condiviso la strategia difensiva, la giurisprudenza, pur riconoscendo che l'obbligo di informazione imposto al professionista è finalizzato al conseguimento di un consenso informato da parte del cliente, ha al contempo ritenuto quest'ultimo normalmente non in grado di valutare regole e tempi processuali; di conseguenza, come chiarito dalla Corte di cassazione con sentenza n. 10289/2015, la responsabilità dell'avvocato sussiste anche in caso di strategia condivisa con il proprio assistito o quando sia lo stesso cliente a sollecitare il ricorso a determinati mezzi difensivi "essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica nella prestazione dell'attività professionale" (v. anche Cass. n. 20869/2004).

La responsabilità per omissione di indicazione delle prove

Inoltre, poiché l'adempimento del mandato comporta lo svolgimento di tutte le attività utili per la tutela dell'assistito, la Suprema Corte con sentenza n. 25963/2015 ha stabilito che configura un grave inadempimento, con conseguente risoluzione del contratto e condanna al risarcimento del danno, la condotta dell'avvocato che omette di indicare le prove indispensabili per l'accoglimento della domanda, salvo che questi "dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di aver svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste" (v. anche Cass. n. 8312/2010).

Il dovere di informazione

Infine, come detto sopra, nell'esecuzione del contratto d'opera professionale l'avvocato è tenuto a mantenere una diligenza commisurata al tipo di prestazione richiestagli. Tale diligenza, secondo quanto precisato dalla Cassazione con sentenza n. 6782/2015, comporta anche l'onere di assolvere ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, ai quali l'avvocato deve ottemperare rappresentando al proprio assistito "tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi" e sconsigliandolo "dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole" (v. anche Cass. n. 14597/2004).

Con riferimento al dovere di informazione si ricorda anche "che incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio". Ciò posto è comunque altresì vero "che l'attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all'assolvimento dell'obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l'obbligazione informativa dell'avvocato è un obbligazione di mezzi e non di risultato" (Cass. n. 7708/2016).


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