La Cassazione conferma la condanna a carico di una delle parti in lite, nei confronti del vigile urbano intervenuto per calmare la discussione

di Marina Crisafi - Se tra moglie e marito è meglio non mettere il dito, lo stesso vale tra i due litiganti, altrimenti si rischia di uscirne col torto. È quanto è capitato a un vigile urbano che intervenuto per sedare una lite tra due vicini di casa, originata dal cane di uno dei due, limitandosi a consigliare al padrone di tenere legato l'animale, nel rispetto del regolamento comunale, si è visto mandare letteralmente "a quel paese".

La reazione spropositata però non passa impunita e l'uomo viene condannato per ingiuria dai giudici di merito.

Il padrone non ci sta e insiste sull'arbitraria intromissione da parte del poliziotto nella discussione, "senza chiedere scusa per l'intrusione" e alla presenza di tutti, ponendo in essere una vera e propria "provocazione".

Ma per la Cassazione (sentenza n. 45668/2015 depositata ieri, qui sotto allegata), la tesi della difesa non regge.

È vero, infatti, hanno affermato gli Ermellini che in tema di provocazione, "rilevano anche comportamenti tenuti dalla persona offesa, che siano lesivi di regole comunemente accettate nella civile convivenza". Tale situazione non ricorre, però, hanno proseguito, nel caso di specie, giacchè il funzionario di polizia locale, "una volta ravvisata la violazione di regolamenti comunali, aveva l'obbligo di procedere alla contestazione, senza chiedere, prima, il ‘permesso' per farlo, né scusandosi per l'intrusione nella conversazione altrui, né chiamando in disparte il trasgressore". E dunque il "fair play" invocato dal ricorrente, se può avere un fondamento nei rapporti tra i privati, non vale di fronte all'esercizio di poteri autoritativi che sia pur "esercitati con una certa perentorietà", non sono arbitrari, ma costituiscono l'adempimento di un dovere.

Sicuramente, invece, "al di sopra delle righe", è stata la reazione dell'uomo, le cui parole "vaffan…" e "non rompere i co…" rivolte al vigile urbano, sono sufficienti ad integrare il reato di ingiuria.

Cassazione, sentenza n. 45668/2015

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