La sentenza della Suprema Corte n. 15859 del 28.07.2015

Va ribadito, in linea di principio, che: "anche nell'ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è in effetti di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex articolo 1227, primo comma, c.c.". In tal senso si è espressa la terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 15859 del 28 luglio 2015, richiamando la giurisprudenza precedente in materia (tra le altre: Cass. n. 15383 del 06/07/2006; Cass. n. 15375 del 13/07/2011; Cass. n. 999 del 20/01/2014). E ciò a prescindere sia dall'applicabilità dell'art. 2043 (invocato nella fattispecie concreta sottoposta all'attenzione della S.C.) che, come ricordato dalla Corte, non esaurisce la responsabilità da manutenzione stradale della P.A., sia dell'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia. 

La Suprema Corte, pertanto, conferma la necessità, anche in caso di danni provocati dall'omessa custodia e manutenzione della strada da parte dell'ente proprietario, di analizzare eventuali concause, prima tra tutti la condotta tenuta dal danneggiato stesso. 

Ne deriva dunque che "in caso di insidia o trabocchetto stradale, la responsabilità colposa di tale ente va certamente riguardata anche nell'eventuale concorso del fatto colposo del danneggiato; elemento, quest'ultimo, che il giudice del merito è tenuto discrezionalmente a valutare al fine di ricostruire l'effettiva eziologia del danno e la sua possibile ripartizione tra più parti" (Cass. civ., 16/08/2010, n. 18713). 

Ciò in virtù dei principi generali disposti dal nostro ordinamento e, in particolare, dall'art. 1227, per il quale, se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate ovvero può essere completamente escluso nel caso il danneggiato avrebbe potuto evitare il danno stesso usando l'ordinaria diligenza. 

Dopo aver ricordato gli anzidetti principi la S.C., con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso proposto da Anas SpA. 

Ed invero è accaduto che i coniugi C.S. e T.D. convenivano in giudizio la predetta Anas SpA, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla loro auto, in occasione di un sinistro stradale verificatosi per l'asserito "cattivo stato della rete stradale" che aveva provocato l'uscita di strada del veicolo. 

La strada, priva di segnalazione di pericolo e di guard rail, coperta d'acqua e fango, come accertato in primo grado, era stata ritenuta la causa dello sbandamento dell'autovettura degli attori e della conseguente caduta nella sottostante scarpata. 

Sostanzialmente la sentenza veniva confermata dalla Corte d'Appello, che si limitava soltanto a diminuire il quantum risarcitorio. 

Veniva quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, ad opera dell'Anas SpA, la quale deduceva l'omessa e insufficiente motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia, per avere il giudice di secondo grado, omesso di valutare le risultanze probatorie, dalle quali emergerebbe l'eccessiva velocità tenuta dal conducente il veicolo danneggiato, che avrebbe comportato lo scavalcamento del terrapieno di contenimento. 

Pertanto, la ricorrente deduceva la propria mancanza di responsabilità nel sinistro in questione ovvero la presenza di un concorso di colpa dei danneggiati. 

Tuttavia, la Suprema Corte, dopo aver dato atto che la Corte d'Appello non si è discostata dai principi di diritto in precedenza riportati, riteneva infondato il motivo di ricorso.

Nel far ciò osservava che il giudice di secondo grado: "ha effettivamente ricostruito, tra gli elementi della fattispecie concreta, anche il comportamento di guida della T.; per giungere infine alla conclusione della non condivisibilità dell'assunto di Anas, secondo cui 'la responsabilità esclusiva o quantomeno prevalente dell'accaduto sarebbe da imputare alla imprudente condotta di marcia della T.'. Sulla scorta di una valutazione logica, lineare e completa delle risultanze istruttorie, la corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova della responsabilità esclusiva di Anas quanto, in particolare, a: - presenza sul tratto stradale di acqua (proveniente da una fontana limitrofa), con fango e terriccio; - mancanza di segnalazione di pericolo e di protezione tramite guard rail, nonostante l'elevata pericolosità di tale tratto stradale, in quanto posto all'uscita di una curva ed in concomitanza con l'apertura di una scarpata di circa 30 mt. La corte di merito ha altresì confutato, in maniera succinta ma sufficientemente chiara, anche il ragionamento opposto da Anas (e ribadito pure nella censura di legittimità in esame), secondo cui il fatto che l'autovettura della T. non fosse stata trattenuta dal terrapieno di contenimento denoterebbe di per sé l'elevata velocità del mezzo. Ha infatti osservato la corte territoriale, ribaltando sul piano logico tale osservazione, che si trattava di un terrapieno "di scarsa consistenza" (per altezza e materiale di composizione) e come tale "non idoneo ad impedire lo sbandamento ed il precipizio nella scarpata" nemmeno da parte di un'autovettura che procedesse "a moderata velocità". Tale convincimento è stato dalla corte di merito tratto da una valutazione complessiva della fattispecie, così come desumibile dalle risultanze in atti e, in particolare, dalle deposizioni dei testi (ritenuti attendibili e qualificati perché, pur non avendo assistito all'incidente, erano tuttavia pervenuti sul posto subito dopo l'accaduto), e dall'apparato fotografico sullo stato dei luoghi". 

Infine, ricorda la Suprema Corte che, in virtù dei consolidati orientamenti della stessa, il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio. 

La Corte, infatti, è tenuta ad esaminare "sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge)". 

Ricorda infine che, così come stabilito dalle Sezioni Unite (Sent. n. 24148 del 25/10/2013), il vizio afferente l'omessa o insufficiente motivazione è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, per come evincibile dalla sentenza impugnata, emerga la mancata valutazione di tutti quegli elementi che potrebbero portare ad una diversa decisione, ovvero l'evidente carenza del procedimento logico che lo ha indotto, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento. 

Avv. Paolo Accoti


Cass. civ., 28.07.2015, n. 15859
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